mercoledì 1 giugno 2011

Sindromi a Parigi

Dopo due settimane qui, non riesco più a vedere i francesi come il nemico. Non so se è una sindrome di Stoccolma dirottata su Parigi, ma sembra che la gente qui sia piuttosto simile a noi, addirittura amichevole.

Forse non dovrei immedesimarmi così nel nemico. Forse è solo un’illusione, probabilmente era un sogno, quel programma in TV con Cantonà che fa l’apologia di Materazzi e spiega che è normale che uno che è rimasto senza madre da piccolo insulti la sorella degli altri. Non con queste parole, ma simile.
Sì, devo averlo sognato. Forse è meglio che mi sforzi a ristabilire le distanze, a concentrarmi sulle differenze.

Tipo i bagni, ecco, in quelli non mi ci riconosco. Che a fini di studio o meno sono stato nel Sud, al Centro e ora anche nella Banlié di Parì e ovunque fossi ho sempre fatto fatica a pisciare. Perché il cesso è sempre in uno stanzino indipendente, il più lontano possibile dal bagno e senza altra acqua che quella dello sciacquone. E io, che vengo dall’unico paese al mondo dove si usa il bidet, non sono pronto ad accettare un tale segno di degrado. E non basta il fatto che qui abbiano docce che sono più grandi di qualsiasi appartamento in cui abbia vissuto negli ultimi dieci anni, con tanto di manopola per impostare la temperatura esatta. Serve solo a suggerirmi il sospetto che i Galli piscino nella doccia di nascosto. Ecco, deve essere così, di nascosto.
Osserva Lilù che è da questo che trae origine il termine internazionale Toilette. Perché qui se chiedi dov’è il bagno, la gente crede che tu voglia lavarti, o forse che cerchi una doccia per pisciarci dentro.

È che con tutto quello che si mangia, è normale che uno poi sogni Materazzi. Tutta sta carne. Fredda. Fredda, come i mongoli di Gengiscan, che però almeno avevano l’eleganza di mettere prima le bistecche sotto la sella per frollare un po’ la carne. E non ditemi che qui selle non se ne vedono, che con tutte le macchine che producono non ci vorrebbe niente a creare un tascone per la carne sotto i sedili.

E per nascondere le loro crudeli pecche ci tengono a farsi passare per gente di un certo livello. Che quando entri nei negozi, dalla cassa ti salutano chiamandoti messiedàm, che è come se la cassiera del Lidl dicesse “Buongiorno gentili signore e signora”, invece del solito “ngiorno”. Ah, e l’altro giorno una negoziante ci ha lasciati con un “Arrivederci, vi auguro una splendida giornata”, roba che quando aveva finito di srotolare la frase eravamo già entrati nella metro. Lilù dice che poteva andarmi peggio, che lei quando lavorava in una buàt di traduzioni qui in giro, la mattina con gli occhi gonfi di sonno le toccava passare e dare bacio destro e bacio sinistro a tutti i colleghi. Si chiama “La Bis” e per loro è segno di civiltà. Per me è solo un’arma in mano agli untori, con tutte le malattie che girano.

Ma c’è qualcosa che mi impedisce di trovare insopportabile questo popolo. Sarà che è periodo di revisionismo storico, penso anche ai milanesi ai quali si comincia a voler bene dopo le ultime elezioni comunali.

O forse lo sono davvero, un popolo civile. Non so cosa me lo faccia pensare, credo sia il fatto che dicano Flamìni e non Flaminì come facciamo noi perché crediamo che lo facciano loro.

2 commenti:

Annmarayah ha detto...

Ma dài, che ti sono sempre piaciuti i francesi. Ti devo ricordare dei tuoi pranzi e delle tue uscite serali con francesi only?

Baci Barcellonesi,

A.

bastian contreras ha detto...

Vabbè, ma bisogna pur tenere una certa distanza, no?