mercoledì 22 giugno 2011

Kuala Lumpur

L’aereo è una camera di passaggio, come quelle che trovi per entrare in una serra a temperatura controllata, o nella banca del tuo paese. È un luogo che non esiste: quando sei in aereo non puoi dire dove ti trovi (che sia per quello che non ci puoi usare il telefonino?), fuori vedi paesaggi che sembrano Google Maps e anche se ti concentri, fai fatica a convincerti che sia reale.

Serve per prepararti, per minimizzare lo shock. Hai 13 ore in un ambiente senza fuso orario, fresco d’aria condizionata, con una scatoletta d’alluminio di riso e carne e tanto tempo per provare ad immaginare il posto dove sbarcherai.

A me piace dopo: quando esci e devi ridefinire la taratura del tuo corpo. Credevi fosse ora di andare a letto e invece sono le 5.30 di mattina. La gente intorno a te è ancora insonnolita, mentre tu andresti a farti una birra prima di andare a letto. E comunque per la birra è dura, perché da ste parti qui la religione dice che è immorale. Una birra, dico una, che ci vorrebbe proprio, perché varcata la soglia della carlinga non puoi più respirare. Sei coperto di sudore ancora prima del fondo della scala, e sai che è un sudore che durerà mesi.

Ritirata la valigia è il momento di sapere come e quanto spende qui la gente. La moneta si chiama Ringgit, ci vorrà un po’ a memorizzare, sì, ma se me ne chiedono 10 per un autobus per il centro è tanto o poco? Intanto sei fuori dall’aeroporto, e questo è il momento più bello. Tutte le novità che non hai ancora incontrato ti saltano addosso in un colpo. I taxi sono rossi e blu, con una mezzaluna sopra, l’odore è tropicale. Sì però non tropicale verace, come i frutti esotici al mercato, è tropicale artificiale, perché hanno appena lavato il corridoio esterno, con detersivi con aromi mai sentiti. Vedi in anteprima le versioni da aeroporto dei cibi che mangerai per i prossimi mesi e ovviamente non ne comprendi ancora la composizione. Intanto per strada vorresti strapparti di dosso tutti i vestiti, già appesantiti da sudore liquido che scende a gocce. I semafori non diventano mai verdi per i pedoni, le macchine non ti lasciano attraversare, i numeri degli edifici esistono, ma non vanno in ordine. Nel caos ci metti un po’ a realizzare che guidano a sinistra.

Qualche residuo alimentare in terra e il gas di un autobus reso nervoso dall’età che ti investe in una nuvola ancora più calda e grigia di quella meteorologica alla quale ti dovrai abituare. Alla fine l’ostello lo trovi, ci eri già passato davanti, ma non c’era scritto il nome.

Entri, è più caldo che all’esterno e c’è un rumore d’inferno d’acqua che scroscia nei bagni e nell’enorme acquario dell’atrio. Ti mostrano una stanza con una luce fioca e un materasso. È disponibile e tu hai già smesso di pensare alla birra o al sonno: non vedi l’ora di farti una doccia e rivestirti per vedere di cos’altro ridere, stupirti e scandalizzarti.

2 commenti:

Felix Lalù ha detto...

che farai la fine di di caprio in the beach??

bastian contreras ha detto...

no perche io i figli floreali li evito come il tofu