giovedì 4 dicembre 2008

Tutti gli dEUS del Paradiso

Ieri sera ho finalmente visto i dEUS. Finalmente perché ho comprato il biglietto a luglio. Suonano per tre giorni consecutivi al Paradiso e i biglietti sono andati come il pane, o come l’ultimo modello dell’iPhone.
Questo è il primo della mia serie di concerti in solitaria, che si concluderà sabato con i Deerhoof. K non è venuta, dice che dei dEUS le piace solo Worst Case Scenario.
Considerando che non ha mai sentito In a Bar Under the Sea, è difficile darle torto.

I primi due album, che sono proprio quelli che ho appena nominato, sono diversi dagli altri. Melodie articolate intrecciate con parti più rock, ma intrecciate in modo nervoso, in modo da darsi il cambio al momento più inatteso. Prendete Via, che parte come una canzone per chitarre, per poi interrompersi al culmine con un ponte che non c’entra niente, con gli strumenti che si bloccano, anche se per due secondi la chitarra si ribella. Poi tutto ricomincia.
C’è del jazz: oltre al violino, che i dEUS hanno sempre avuto in formazione, ci sono violoncelli, xilofoni e strumenti più classici, che addolciscono le tinte. C’è una chitarra che sa di Marc Ribot. C’è del cubismo, sia sulle copertine dei dischi che negli spigoli delle melodie e nei testi; surreali, ma senza troppa facile serietà, più degni di Picasso che di Ernst o Tanguy.

Poi due dei chitarristi se ne vanno, uno per creare i Zita Swoon e l'altro per suonare jazz sperimentale. Rimane il leader Tom Barman, ma viene a mancare l’ala eclettica. The Ideal Crash e il nuovo Vantage Point sono dolci, piatti, normali. Senza difetti, ma soprattutto senza pregi. Per fortuna fra i due esce Pocket Revolutions, un disco dilatato, di canzoni in crescendo, roba che piace agli appassionati di post punk. Freddo fuori, ma caldo a sentirlo bene.

E allora andiamoceli a vedere, anche da soli. E lasciatemi dire una cosa banale, ma da soli si notano meglio i particolari. Ad esempio sapevo che il Paradiso in un’incarnazione precedente era stato una chiesa, ma non ricordavo le vetrate nell’abside ristretta, proprio dietro il palco, che per giunta vengono illuminate a ritmo di musica durante il concerto, in un lampo di gusto per l'atroce totalmente nordeuropeo. E non avevo notato le navate con piloni in ferro e decorazioni tipo stazione ferroviaria. Una chiesa in stile Art Deco non l’avevo mai vista, ma l'idea non sembra cattiva come può sembrare.

E comunque non sono l’unico che è arrivato da solo. Una volta però sarei stato in grado di attaccare discorso con chiunque, ma qui non si usa e uno stupido pudore mi blocca, così mi accontento di stringere un’alleanza formale mettendomi vicino ad un altro ragazzo in solitaria, che per lo più assomiglia alla versione magra del mio amico Philipp, il primo a convincermi ad ascoltare i dEUS.



Stendo un pietoso doppio velo sul gruppo spalla, gli Expatriate, australiani vestiti da Vasco che cantano canzonette che fanno “baby I love you” e roba simile per far colpo sulle ragazze e vengo direttamente ai dEUS, che attaccano con i brani più melliflui degli album che mi piacciono meno.
Sul palco non c’è traccia degli archi dei primi dischi. Per i pochi pezzi vecchi usano tracce registrate e il tastierista/violinista sembra confuso e si accontenta di strimpellare le corde del violino senza archetto. La qualità del suono è infima ed è perfino impossibile capire cosa dice Tom Barman quando si rivolge al pubblico. Mauro Pawlowski, nonostante il suo nome che sembra fatto apposta per un musicista, stona spesso, così come il vecchio Tom.

Poi a metà concerto le cose cambiano improvvisamente. Escono i pezzi vecchi e con questi la voglia di suonare. Ci sono Roses, Serpentine e infine arriva Suds & Soda, che è da anni uno dei primi tre titoli che sparo quando mi si chiede quali sono le migliori canzoni di tutti i tempi, praticamente senza tastiera e con una parte che non capisco se è un’improvvisazione giocata su rumori e silenzi o un vuoto da assenza di assolo di tastiera.



Ma poi, a cosa serve suonare bene se si riesce già a comunicare qualcosa? Il pubblico è entusiasta e mi lascio coinvolgere pur io.

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