martedì 6 settembre 2011

Senza scattare

Il vulcano è quello là, travestito da montagna, con l’espediente di una capigliatura funky di nuvole – le uniche nuvole del cielo – per nascondere la cima mozzata. Le montagne intorno sono poca cosa, portaborse gobbi dell’onorevole Vulcano Agung, che almeno conserva la decenza di sedersi in disparte, ai margini dell’isola, lasciando che siano i suoi dipendenti a dare da mangiare alle risaie, tasselli di una vetrata fatta di culi di bottiglia verdi.

In due mesi a zonzo abbiamo scattato migliaia di fotografie. Alcune troppo simili, da selezionare, altre un po’ scolorite, da ritoccare. Un clic costa come una boccata d’aria, il respiro della memoria.

Della memoria fotografica, perché c’è un’altra memoria, quella dei ricordi senza aiutìno, quella delle fotografie da non scattare. La memoria che sfuma i ricordi e li ridipinge con le pennellate di un impressionista, un poeta, un comico, o di noi stessi. Una memoria non fisica o matematica, ma altrettanto concreta. Quella che prima delle fotocamere industriali era l’unica memoria disponibile.

Della costa di Bali, ad esempio, mentre mi allontano sul battello per Lombok, voglio scattare solo parole.

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