giovedì 10 febbraio 2011

Morire per la libertà

Le piazze della televisione si sono popolate di arabi: egiziani, tunisini, algerini, libici, che manifestano per la libertà, o almeno per una forma di non libertà con un nome diverso.

Le genti sono in piazza con cartelli con scritte a pennarello rosso che inneggiano al martirio. Dicono di essere pronti a morire per la libertà.

Anch’io voglio morire per la libertà. Ti fai martirizzare un po’, soffri come un cane per pochi secondi, finché perdi i sensi e a quel punto il gioco è fatto. Se proprio ti va di culo, salti in aria e non te ne rendi neanche conto, ma anche se così non fosse, ne vale la pena comunque, se pensi che poi passerai il resto dell'eternità accompagnato – a seconda della tua religione – dal Cristo redentòr e San Pietro in camice bianco o da 70 veline discinte.

Una polizza per il futuro. Di sicuro più facile che viverci, per la libertà, o per qualsiasi altro ideale che non sia la figa. Troppa fatica, farsi un culo così ogni giorno a chiedersi se quello che hai appena fatto è etico o meno, magari dopo 8 ore di lavoro e con una famiglia da mantenere.

Molto più comodo morire martire, senza lavoro e con la famiglia che si mantiene da sola, e magari il sindaco ad intitolarti strade, centri civici e palaspòrt. Con la presenza e le testimonianze della stessa famiglia che hai appena fottuto e tu che pur ridotto a dadini di carne disossati, ti ricomponi e gli fai il gesto dell’ombrello dalla tomba.

A me, i mortiri, piace pensarli così.

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