Questo bugigattolo di resistenza umana si sarebbe dovuto spostare su Wordpress, da un pezzo.
Solo che un giorno, passeggiando in Nuova Zelanda, mi è venuta un'idea perfetta per un nuovo titolo e ora non me la ricordo più.
Da quando ho scoperto cosa è successo a Barney Panofsky, ho la fobia dell'Alzheimer.
lunedì 28 gennaio 2013
giovedì 24 gennaio 2013
Sui giovani d'oggi

Sarà questo, o sarà più che altro il fatto che i miei
coscritti sono tutti sposati, fatto sta che ultimamente si
esce con gente che ha l’età di El Shaarawy.
Ed è bene, perché i giovani d’oggi ci stanno dentro molto
più di noi. Per iniziare ne sanno di più. Leggono libri, guardano film senza
esplosioni, ascoltano musica. Tutto grazie ad internet, stimoli culturali che
ai miei tempi anche se li cercavi ti toccava minimo minimo sfangare gli
scarponi e scendere verso la Capitale.

Sono disillusi, loro, il che è cosa buona e giusta, se la
disillusione porta con sé lucidità e ragione. Forse se ce ne fossero di più, di
giovani d’oggi, potremmo farla finita una volta per tutte con quelli che
cantano l’Internazionale ai funerali della gente, o quelli che fanno il
picchetto alla tomba del duce, visto che ci siamo. È che poveretti, sti giovani
sono in netta minoranza.
venerdì 18 gennaio 2013
La rivincita di Mio Nonno Marino
Mio Nonno Marino è sempre stato una persona mite. Senza
conoscere Gandhi ha praticato la resistenza passiva nei confronti delle
continue critiche da parte di Mia Nonna Lina. Quando non ce la faceva più,
sfogava la sua rabbia lavorando. Finito il turno in fabbrica nella Capitale
(delle Alpi, o così la chiamano qui), prendeva il tram e la corriera per
recarsi nella natia Valley of Don't a coltivare la campagna. Tornava a casa per
cena e dopo mangiato si addormentava sulla sedia.
Questa è una storia de sti
anni e come tutti sanno nella Valley of Don’t, le storie de sti anni sono epiche, eroiche,
difficilmente credibili, ma assolutamente vere. Sti ani non si discutono, servono a dimostrarci come noi giovani
possiamo lavorare fino a farci una schiena come un tronco di salice, ma rimaniamo
sempre viziati dalla vita e dobbiamo dire grazie a chi si è fatto un mazzo così
per darci un’educazione.
E comunque la proverbiale mitezza di Mio Nonno Marino è
sempre stata davanti agli occhi di tutti, nell’immagine di lui sorridente
mentre Mia Nonna Lina gli crida per essere entrato in casa con gli scarponi
pieni di palta, o all'ennesimo giorno di convivenza forzata con la Zia Fulmy, che pur avendo ereditato in anticipo l’appartamento nella Capitale, ha scoperto
che vivendo a casa dei genitori si mangia gratis.
E poi è arrivata la badante e tutto è cambiato. Per la
verità la badante è rimasta solo una settimana, prima di essere accusata di pigrizia
dalla Zia Fulmy per aver rifiutato di prepararle cena e di incapacità da Mia
Nonna Lina per non aver riposto gli oggetti della casa nell’ordine che lei da
decenni sapeva essere il più logico.
A Mio Nonno Marino la badante stava simpatica. Castamente,
perché lui è un uomo mite e ha anche l'età che ha. Forse si sentiva coccolato,
per una volta: una sensazione che per uno cresciuto sti ani dà lo stesso sollievo provato quella volta che ha tolto i
giornali vecchi dal bagno e con la tredicesima si è comprato il primo rotolo di
carta igienica.
Così, in una settimana Mio Nonno Marino è cambiato più di
quanto lo avesse fatto nei sessanta anni precedenti e ha iniziato a reclamare
quello che è suo di diritto. Ora non tace più. Ora esterna quello che pensa,
tutto quello che si è tenuto dentro per tutto questo tempo. Ringhia a mia nonna
quando non considera la sua opinione sulle materie pratiche e si lancia sulla
Fulmy quando le vede passare pomeriggi a "scrivere in quei giornaletti coiquadrati”.
Reclama la sua dignità ferita. Dalla badante ha scoperto che
il rispetto esiste, e ora se non lo si rispetta si incazza che non c'è più
verso di sentirlo. E quando ha finito di sfogarsi prende la Panda blu e fa
slalom sui 5 chilometri a quattro corsie (Mio Nonno Marino ci vede doppio) che
portano fino al mio paese. Entra nella casa dell’unica figlia che da lui ha
ereditato la mitezza, si siede nel salone nuovo e legge Il Trentino, offrendo
la sua personalissima editoriale sugli ultimi fatti d’attualità.
Solo qui, leggendo le gesta dell’Assessore che lo chiama
prima di ogni elezione per ricordargli la loro lontana parentela e degli altri
eroi del Partito Autonomista Trentino-Tirolese, Mio Nonno Marino trova la pace
dei sensi che può provare solo uno che dopo 85 anni comincia a togliersi
qualche sassolino dalle scarpe.
venerdì 11 gennaio 2013
Un ladro
In pratica l’hanno capito tutti che è un ladro, no? Basti
pensare che non ho neanche detto di chi parlo e hai già indovinato chi è.
Poi ci sono quelli che hanno capito che è un ladro, ma lo
voteranno lo stesso. E poi ci sono i tifosi, che ammetterlo vuol dire tradire e
allora volessemailcielo.
E allora se l’abbiamo capito tutti, proprio non capisco perché
in tivvù ci sia ancora gente che ci spiega quanto sia ladro. Solo il silenzio lo seppellirà.
martedì 8 gennaio 2013
Temere il zelten
Non tutte le
tradizioni sono degne di essere tramandate, neanche quelle natalizie. Ad
esempio, da noi si fa il zelten, una torta durissima fatta con un trito di noci
miste e qualche candito. Un dolce sapore del passato per gli anziani della
valle, che ne fanno omaggio a famiglie e amici. Così finisce che verso Natale ci
si trova con due o tre zelten in cucina, oltre alla catasta di panettoni e
pandori d’ordinanza.
Il fatto è che il zelten è l’equivalente dolciario di Nilla Pizzi: un ricordo sempreverde per gli anziani, un gusto più polveroso che antico per i giovani. Nessuno il cui palato sia stato formato a forza di biscotti del Mulino Bianco è in grado di comprendere la forte anima pastosa del tembile mattone marrone.
E a differenza di pandori e panettoni, il zelten non lo si può nemmeno riciclare come regalo. È fatto in casa e non può quindi essere rimesso in circolo senza millantarne la creazione, cosa che tralaltro non andrebbe a favore del riciclatore. E poi è un peccato buttar via un regalo, soprattutto se fatto a mano. Insomma, il zelten bisogna trovare un modo per finirlo.
Per questo a casa mia sotto Natale non si comprano più le brioche per colazione, in modo da costringere la famiglia intera a finire il temuto zelten, operazione pur sempre preferibile all’idea di aprire la giornata con i cotechini della sera prima. Quest’anno di zelten ne abbiamo ricevuti tre e domani mattina, con un po’ di buona volontà conto di arrivare a metà dell’ultimo, quello della nonna. Ancora un po’ di pazienza e le feste saranno davvero finite. Finalmente.
Il fatto è che il zelten è l’equivalente dolciario di Nilla Pizzi: un ricordo sempreverde per gli anziani, un gusto più polveroso che antico per i giovani. Nessuno il cui palato sia stato formato a forza di biscotti del Mulino Bianco è in grado di comprendere la forte anima pastosa del tembile mattone marrone.
E a differenza di pandori e panettoni, il zelten non lo si può nemmeno riciclare come regalo. È fatto in casa e non può quindi essere rimesso in circolo senza millantarne la creazione, cosa che tralaltro non andrebbe a favore del riciclatore. E poi è un peccato buttar via un regalo, soprattutto se fatto a mano. Insomma, il zelten bisogna trovare un modo per finirlo.
Per questo a casa mia sotto Natale non si comprano più le brioche per colazione, in modo da costringere la famiglia intera a finire il temuto zelten, operazione pur sempre preferibile all’idea di aprire la giornata con i cotechini della sera prima. Quest’anno di zelten ne abbiamo ricevuti tre e domani mattina, con un po’ di buona volontà conto di arrivare a metà dell’ultimo, quello della nonna. Ancora un po’ di pazienza e le feste saranno davvero finite. Finalmente.
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