Insomma c’è voluto un po’, però alla fine ce l’ho fatta. Ci sono voluti metodi drastici, c’è voluto
che Lilù perdesse il lavoro e si prospettasse la possibilità di andarsene, però
alla fine mi sono innamorato di questa città. Ci sono voluti diversi passaggi
sul Pont St. Pierre con viste da cartolina sul fiume e sul Pont Neuf, in
combinazioni di colori più varie di
quelle dei temi di Windows del mio smarfione.
L’ultimo “c’è voluto” lo spendo per la libreria Ombres
Blanches, al cui interno ci si può anche perdere, per uscire da una qualsiasi
delle cinque porte sparse lungo un intero isolato, oppure, un c'è voluto bonus e poi giuro che smetto,
l'altra libreria – come si chiama? – quella coi libri radicali, che ti siedi a
un tavolino di legno e ti portano un tè, mentre tu studi da lontano copertine da
sfogliare dopo, che ora rischi di
macchiarle.
Ecco, mi piace proprio la mia città. Davvero, al di là del
fatto che rischiamo di smobilitare. Forse bisogna viverci in inverno, in una
città della Vecchia Europa, per amarla. Forse solo l’inverno ti dà quell’atmosfera drammatica che fa uscire il
meglio dalle città europee, la loro personalità. Anche se qui a dicembre fa
15 gradi e le tenebre calano alle 6.
Che anche Amsterdam, vecchia passione impossibile mai guarita,
d’estate era uno spettacolo, ma l’atmosfera dei bruin cafè veniva fuori col
freddo, dopo essersi incollati le mani alla catena della bici cercando di
legarla a un palo.
Ecco, di Amsterdam, la
ex (città) alla quale ci si ispira
ancora per giudicare le altre, qui ci sono i mattoni. Però i mattoni lassù
erano marrone scuro, mentre qui sono arancioni. Così arancioni che al tramonto diventano
fosforescenti. La stessa cosa, ma vista con due obiettivi diversi: l’austerità calvinista e il gaudio
cattolico, appena velato di un pudore di facciata.
Mi capita di uscire nel tardo pomeriggio e trovare dalle
parti della Daurade un’orchestra di
ottoni che per strada suona solo canzoni degli Iron Maiden e dei System of
a Down, oppure, più tardi in un caffè, un duo jazz con un rappista on the mike
che butta giù due rime. Sono cose moderne, che si ti piacciono quelle
tradizionali ti tocca come minimo andare a vedere una partita di rugby. Là, in
curva, ci trovi la fanfara che suona motivi popolari.
Intanto io mi perdo ancora nelle strade in centro e un anziano
col cappello mi chiede se posso raccontargli una storia di questa via. E io gli
dico che è la prima volta che ci passo. Lui mi fa: straniero? Io per istinto Sì,
poi ci ripenso: certo, ma sempre meno.
* La prossima volta ci metto le mie, di foto. È che sto cacchio di smarfione pare faccia tutto lui, però poi non c'è manco verso di copiare foto sul computer. Abbia pazienza, signò.
3 commenti:
Ho sempre pensato che tu volessi dirci qualcosa coi tuoi neretti.
Ecco il tuo post, solo nelle parti enfatizzate. Ho aggiustato solo un par di virgole:
Alla fine ce l’ho fatta: colori più varie di quelle dei temi di Windows
che ora rischi di macchiarle.
Quell’atmosfera drammatica che fa uscire il meglio dalle città europee, la ex alla quale ci si ispira ancora per giudicare le altre, l’austerità calvinista e il gaudio cattolico.
Un’orchestra di ottoni che per strada suona solo canzoni degli Iron Maiden: certo, ma sempre meno.
I tuoi post, adesso, non saranno più gli stessi.
Niente messaggi satanici per carità. Il neretto lo applico alle parole che vorrei venissero lette con più enfasi, un po' come i corsivi di Guido Laremi in Due di due (che mica di solo David Foster Wallace vive l'uomo).
A volte l'enfasi non va sulle cose più importanti. Sarà che sono uno che divaga.
Ma che bello.
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