Vi siete mai chiesti che
fine ha fatto la Uno del nonno? In Argentina. È in Argentina, vi dico,
insieme alla Duna sulla quale vi vergognavate di salire e a Fiat 127 che si
muovono con lo scoppio del motore a scoppio. Forse è proprio per questo tipo di
propulsione a reazione che sono state ribattezzate Fiat Spazio. In Argentina
esistono modelli della Fiat che in Italia non si sono mai visti, fra i quali la
Palio Weekend (non il modello italiano), con le protezioni
laterali in plastica applicate con magnifiche viti a vista.
Nelle milonghe si
balla il tango e si beve Cynar, Punt e Mes e soprattutto Fernet Branca, che
i giovani si ostinano a mescolare con la Coca Cola, mentre io ho la malsana idea
di ordinare solo. Ricevo un bicchiere
che contiene almeno sei volte la generosa porzione servita al Bar del Gianni. Prima
d’ora, non ero mai riuscito ad ubriacarmi con un solo bicchiere.
In effetti, nelle città argentine si respira un’atmosfera da
Vecchia Italia, con ristoranti che propongono la faina, la fugazza e la
bondiola e servono l’acqua frizzante nei
sifoni da seltz.
La prima parola che sento all’arrivo è un tassista che
apostrofa un automobilista Estupido.
In effetti, se in Italia all’inizio del ventesimo secolo si fosse parlato
italiano, ora l’Argentina parlerebbe come
noi. Invece rimangono solo alcune parole (me voy a laborar) e soprattutto l’accento: quando parla qualcuno di
Buenos Aires, sembra di sentire un italiano che parla spagnolo, con quella voce tristanzuola che avevano gli
attori dei film in bianco e nero. Questo in città, ma comunque un argentino
su tre abita nella regione di Buenos Aires.
In ogni caso, in Argentina basta avere un nonno italiano per
acquisire il passaporto. In pratica, la
metà di loro potrebbe giocare per noi ai mondiali. A chi dice che non
esistono neri italiani, varrebbe la pena rispondere che gli indios italiani
invece ci sono da cent’anni.
In Argentina ci si sposta in autobus. Sono autobus
comodissimi, con i sedili che diventano quasi dei letti e fanno diventare i nostri tre spostamenti di 20 ore dei
momenti di relax, non fosse per il risveglio a base di zombi che ululano
dalle tv alle 7.30 di mattina e che ci fanno da colonna sonora lungo il
drammatico paesaggio preandino della regione di Salta. Almeno per una volta la
domanda del viaggiatore non è che diavolo
ci faccio qui?, ma Brad Pitt è riuscito davvero a realizzare il
film più demente della storia?
In Uruguay si beve il mate. Anche in Argentina, ma in
Uruguay di più. A Colonia del Sacramento (che in noneso significa più o meno stramaledetta colonia) e Paysandú la
gente gira per strada con il braccio sinistro a 90 gradi, una thermos incastrata fra spalla e avambraccio e una zucca essiccata
con la cannuccia in pugno. La yerba mate ha una quantità di caffeina a metà
fra il tè e il caffè e si beve rigorosamente in una zucca essiccata (il mate, appunto)
con una cannuccia in metallo dotata di filtro (bombilla). L’impressione è che,
più che un vizio, per loro sia un segno di identità nazionale. Negli autobus
invece il matè è servito solo in bustina, per via dei numerosi casi di cecità provocata da cannucce conficcate negli occhi.
Le cascate di Iguazú, a metà fra Argentina e Brasile, sono
così imponenti che pare di essere in un’enorme
stanza con tappezzeria di gusto pacchiano nel mezzo della giungla tropicale.
Cerchi "tappezzeria pacchiana cascate" su Google e trovi proprio loro. |
Dalle parti di Salta e Jujuy invece si sale sulle Ande, fra
il Cile e la Bolivia. Guidiamo la nostra Volkswagen Gol (da non confondersi con
il modello nobile con la F) per più di 1000 chilometri senza mai vedere due
volte lo stesso panorama, fra montagne di 7 colori diversi, saline, lama,
alpaca, guanachi e vigogne. Arriviamo più
in alto del Monte Bianco, seminando anche i cactus più resistenti. Scopriamo
vigneti in mezzo alla polvere gessosa
e mastichiamo le foglie di coca che ci ha regalato una signora di San Antonio
de los Cobres dopo averci cucinato pollo ed empanadas.
A Mendoza bevo vino di malbec, in attesa che le due sorelle francesi
con cui viaggio guariscano dall’infezione allo stomaco che le colpisce per due
giorni a testa. Intanto vedo l’Aconcagua dalla base, e non si direbbe che sia
alto 7000 metri. E invece dall’aereo sì, volando al suo livello fino alla
Patagonia, con il mare che spunta da
lontano, oltre una sottile striscia di Cile.
Bariloche (San Carlos de) è la città natale del nuovo
Messi, ma questo non lo sapevo ancora. Sapevo che è la città della mia
amica Valeria, che sono contento di rivedere dopo gli eroici tempi di Galway, più
di 5 anni fa. Qui sulle montagne niente cactus, ma fiori gialli e tanti laghi.
Qualcuno dice che sembra la Svizzera. Sì, ma con una vegetazione preistorica di
araucarie e arrayan dal tronco rosso, che poi altro non sono che gli alberi di Bambi, che è stato
disegnato copiando il paesaggio di qui. Ah, è anche la città di Priebke, che
insegnava nello stesso collegio dove lavora il marito di Valeria.
Più in giù lungo la Patagonia non proviamo neanche ad
andarci, per il sospetto che quello che la rende mitica non sia tanto Ushuaia e i suoi hotel e negozi di
attrezzatura sportiva, quanto la lunga strada per arrivarci.
L’ultimo giorno, di ritorno a Buenos Aires, mi rendo conto
di sentirmi a casa, appunto, come in una piccola Italia di 30 o 50 anni fa. Una
grande metropoli extraeuropea che per una volta non è cresciuta a forza di
grattacieli secondo il modello americano, ma con più personalità e cultura, secondo
quello europeo. Dopo Kuala Lumpur,
Singapore, Melbourne, Sydney e Auckland, è una cosa che rincuora.
3 commenti:
Meraviglia *__*
che viaggio!
Grazie per il commenti (a entrambe)
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