lunedì 13 luglio 2015

Un giretto qui intorno



L’estate arriva tutto d’un colpo, senza che neanche te la preannunci la signora del meteo, che di solito qui fa le previsioni fino alla settimana dopo e di conseguenza non ci imbrocca mai.

Dopo il lavoro è bello uscire di casa e sbucare sul molo degli esuli catalani, che nel frattempo sono sbarcati da una sessantina d’anni e hanno lasciato il posto a quel gruppo di profughi che ha occupato il parcheggio. Che poi forse sono zingari, ma non posso mica andare là a chiederglielo: 

Sai, è per il mio blog
Fratello, ma tu lo sai dove te lo devi mettere il tuo blog?

A volte mi ficco sotto una spalla un libro, proprio come i francesi degli stereotipi tengono le baguette, e vado a leggermelo in riva al fiume. Altre volte vado snello, che un libro bello è un peccato leggerlo troppo in fretta.

Allora cammino fino alla fine della bancina, dove il fiume forma una cateratta, dove c’è una lunga passarella di metallo, che quando è aperta ti porta direttamente al parco del museo d’arte moderna. Per arrivarci dalle vie cittadine ci vuole almeno un quarto d’ora, perché bisogna prima aggirare l’ospedale col suo cupolone da chiesa, che se non lo sapessi, che è un ospedale, diresti piuttosto un monastero. La passerella è uno dei miei posti preferiti, perché sono sospeso sul fiume, con l’acqua che cade dalla cateratta come vetro liquido, talmente forte che mi viene il riflesso di tenermi fissi gli occhiali. Dalla passarella getto un’occhiata a un isolotto di sassi, con un albero piantato in cima come una bandiera. Là l’anno scorso ho visto un martin pescatore, quasi irreale nel suo frullo arancione vivo in mezzo a questi colori di mattone. Quest’anno invece c’è una garzetta, un trampoliere così bianco che ti chiedi come fa, senza manco potersi lavare. Dietro la nuca ha un riporto di piume bianche che svolazzano al vento mentre lui se ne sta là col becco pronto, aspettando che la corrente gli porti un pesce da fiocinare. 

Arrivare al di là della passarella non importa più di tanto. La vista sulla città è magnifica, ma lo è dappertutto attorno al fiume, con i coni dei campanili che sembrano stalagmiti. Entro nel parco giochi e visto che per una volta non c’è nessuno mi arrampico sulla parete da scalata per i bambini.
Abito in via del crocefisso, un nome che in questo paese così laico fa ridere o lasciare increduli, ma soprattutto una parola che nessuno sa scrivere. È una strada inutile all’occhio automobilistico, perché si fa prima a fare il giro, troppo stretta fra alti muri che nascondono giardini fitti di foglie che non ingialliscono mai. Il giardino che vedo dalla finestra del mio salotto è curatissimo, nascosto da un albero fitto che emana lo stesso odore della negritella, un’erba di montagna che profuma di cioccolato. Lilù e io, per vedere cosa si nascondeva dietro l’albero, una volta abbiamo visitato l’appartamento di fronte, fingendo di volerlo affittare. Cosa c’era? Un albicocco, fiori, rampicanti. Un giardino segreto, insomma. 

Da sotto le fronde, ogni sera fra le 9 e le 10 si sente un fischio che sembra quello del richiamo di un cacciatore. Non ho ancora capito chi sia, da dove venga e a cosa serva, ma in queste sere tiepide i rumori sono ancora più vividi, come quello l’acqua che precipita dalla cataratta, o le urla degli studenti che attraversano il ponte per andare a bere. Eterno sociologo, mi chiedo se prima che arrivasse MTV la gente per strada emettesse già quelle urla stridule che secondo me derivano da sovraesposizione a quelli di Pimp My Ride quando vedono la macchina rifatta.

martedì 23 giugno 2015

Maledetto cazziatone

In questi giorni su Facebook ha imperversato "il cazziatone del medico a Slvn".





 

Secondo voi, che impressione ne ricava il Lettore?

1) Che
Slvn è malvagio perché sfrutta la donazione del sangue per farsi pubblicità e­ -­­ orrore - tiene la pallina dal lato sbagliato

oppure

2) Che
Slvn è un cittadino responsabile e pure magnanimo, perché non disdegna di aiutare neanche gli esseri inferiori


Sì, lo so che voi siete decisamente per l'ipotesi 1 e ne siete usciti ancora più inorriditi da questo personaggio da commedia dell'arte. Ma non credete che la maggior parte dei lettori propenda per la seconda?

Io stesso per un attimo ho pensato ah, ma allora non è poi così razzista, prima di rendermi conto dell'astuta mossa pubblicitaria. Perché non escluderei che siano stati i suoi esperti di comunicazione a mettere in giro il suddetto, fastidiosissimo cazziatone
.

Nel prossimo paragrafo vi spiegherò perché, ma intanto ci tenevo a scrivere che il cazziatone è un vivido esempio di una delle lezioni più importanti lasciate dal berlusconismo ormai in crisi: nel bene o nel male, se si parla di te ne trarrai vantaggio. Ovvero: chi già ti disprezzava ti odierà ancora di più, ma è anche probabile che qualcuno cominci ad apprezzarti.

Questo principio non si basa sulla stupidità della gente semplice. Io stesso (che non posso escludere di essere stupido, ma di sicuro non sono semplice), troverei il suddetto medico pedante e antipatico se fossi convinto che l'idea di andare a donare il sangue e scrivere che va bene anche se va ai negri non sia studiata a tavolino per accaparrarsi anche i voti degli indecisi con tendenze più sinistrorse. Parlo di gente che sostiene la donazione del sangue e non vede di buon occhio il razzismo. Gente che ha un pregiudizio di base nei confronti di
Slvn, ma che con questo post potrebbe cambiare idea. Gente che probabilmente ha diversi contatti Facebook che detestano Slvn e che hanno scelto di condividere il fastidiosissimo cazziatone che rischia di fargli un gran favore. 

Dopotutto, con tutto il male che voglio a Slvn, già la parola cazziatone ti fa venir voglia di dargli uno schiaffo. Non tanto a lui, ma a sto medico pedante.

martedì 19 maggio 2015

Lo sceriffo


Su Euronews intervistano lo sceriffo della polizia di Waco, in Texas, dove 9 motociclettari sono appena morti in una sparatoria e altri 18 sono rimasti bucherellati.

Con grande teatralità, il suddetto descrive la scena che ha trovato al suo arrivo, con abbondanti dettagli di carattere ematico. Per concludere dichiara: 


È una delle scene più orribili alle quali abbia mai assistito.

Ecco, se la dichiarazione non vi dice nulla di strano, tornate indietro, rileggetevela e concentratevi sulla seconda e sulla terza parola.

lunedì 11 maggio 2015

Cruisin' with Elvis



Non so se in Italia si usi molto sta cosa di BlaBlaCar. Qui sì. Un treno costa come un aereo, mentre un passaggio in macchina lo paghi un quarto del prezzo. È comodo anche per chi guida, come me. 

L’unico fastidio è di carattere organizzativo, come quando esci a caselli sperduti per cercare il passeggero e mentre cerchi il piazzale della stazione dove dovete trovarvi – che è sbarrato causa lavori in corso – lui ha cominciato a telefonarti, perché sei in ritardo di 2 minuti ed è terrorizzato che la tua non sia che una fregatura. Solo che tu sei in macchina e non è che gli puoi rispondere. Comunque alla fine tutto bene, tanto sollievo su ambo i fronti, si fa il pieno e si parte. 

Così la volta dopo, per evitare che la situazione si ripeta, al prossimo gli dici che si arrangi a raggiungerti. E Johann, voce svaccata, visibilmente in balia dei fumi del fumo, al telefono ti risponde di star tranzollo che ci pensa lui. E tu il giorno dopo te lo trovi al casello sudato e con le gote rosse, che gli fanno la pelle più scura dei capelli biondo crauto, lui reduce da quindici chilometri a piedi, con uno zainone da viaggio e quattro borse. Però lui è preso bene e ha un sorriso
positivo, non solo all’antidoping.

Poi c’è Antoine, che è vestito tutto perbenino, appena uscito dal suo lavoro perbenino. Cominciamo a discorrere cercando anche noi di mantenerci sul registro del perbenino. Poi scopri che nella vita fuori dal lavoro Antoine è un metallaro impenitente e così anche il tono del discorso si rilassa, che un metallaro può essere perbenino finché vuoi tu, ma di sicuro almeno in segreto preferisce il male.

E poi naturalmente c’è Elvis. O meglio, il passaggio lo prenota un tale Benjamin, che però ci rivela che non è per lui, ma per suo nipote ventunenne. Elvis, appunto. Passiamo due giorni ad immaginarcelo, Elvis. Ciuffo e giacca a frange. Invece poi quando lo vedi, Elvis potrebbe venire sì da Memphis, ma da quella originale, in Egitto. È vestito da rapper, ha un grigno duro e una pettinatura talmente da calciatore che lo convocheresti in nazionale sulla fiducia. Il motivo per cui non ha prenotato lui stesso è subito ovvio: è impossibile che sia maggiorenne. Ma se non ci rapina, a noi che ce ne frega dell’età? E che non ci rapinerà è subito evidente. Al di là della lattina di beverone energetico in una mano, della sigaretta che pende dall’altra e dello scorpione incazzato tatuato sul braccio precocemente anabolizzato, Elvis è un ragazzo come non ne fanno più da un pezzo. Educato, attento e gentile, ci dà del lei, chiede per favore e ringrazia. Quando lo lasciamo là, alla stazione di Carcassonne, mentre la sua sagoma da bambino muscoloso si allontana verso un tramonto ormai avanzato, a mezza voce dico buona fortuna Elvis.

lunedì 13 aprile 2015

Cruisin' with l'amico mio de Roma



Io, quando sono all’estero, finisce sempre che lego con i romani. Stavolta, l’amico mio di Roma è uno stimato ingegnere aeronautico che ha diversi anni più di me. Un anno fa mi ha portato a fare un giro sui Pirenei con un monomotore e poi ci siamo ritrovati di nuovo a diverse pizze fra italiani. Ora le pizze ce le facciamo soprattutto in due, campioni di teorizzazione sui massimi sistemi, a volte al massimo con la moderazione dell’altro amico nostro, quello di Belgrado.

Girare con l’amico mio di Roma mi ha aperto le porte di un nuovo ambito della vita, quello dei quarantenni single. La conclusione è che se sei un quarantenne single rimorchi che è una meraviglia

Tante sono infatti le controparti femminili del quarantenne single, diverse di loro disilluse, impazienti o motivate quanto basta per accettare di sobbarcarsi di buon grado il passo dell’approccio col maschio.

La prima era una bella donna, che ci aveva intrattenuti sulle sue considerazioni filosofiche sul fatto di essere in ritardo per diventare madre e sul divertimento che se ne può riscuotere dalla vita come risarcimento. Io osservavo sociologicamente e facevo la mia parte per aiutare l’amico mio de Roma, che però aveva presto liquidato madame come rea d’eccessivo inebriamento.

La seconda era un’insegnante di francese, un po’ meno bella, ma di maniere più garbate. Noi però stavamo per annaccene e appena virati sull’argomento della politica italiana non ci eravamo sentiti pronti a sostenere il peso della tematica.

La terza era simpatica. Un tipo. Insomma, nun se poteva guardà. L’amico mio de Roma m’ha rivelato più tardi che quando una è simpatica, poi ti dispiace darle un dispiacere. Allora meglio telare subito.

Tutte queste signore, e non solo loro, mi hanno dato modo di arricchire le mie osservazioni su come si trattano gli stranieri in Francia. Perché qui capita che molti di quelli che noi italiche genti chiameremmo stranieri sono nati in città. E comunque è convenzione che anche agli altri, quelli come me e l’amico mio di Roma, devi sempre cercare di non farli sentire stranieri.

Così, quando nel più diretto dei casi ci si chiede di che origine siamo, tocca a noi scegliere di non rispondere italiana, ma siamo italiani. Spesso però nella domanda si cercano formulazioni ancor meno dirette, come appunto nel caso della summenzionata Terza (quella che nun se poteva guardà, come forse ricorderete), che ci ha balbettato intorno per un po’, per poi chiederci semplicemente voi siete nati in questa città?

A noi sarebbe venuto automatico dirle: ecche, nun se vede? Però poi un po’ ci devi pensare, che in quanto straniero, prima di liquidare un locale come bizzarro, ti devi chiedere almeno se il bizzarro non sei per caso tu. Allora se ci pensi un po’ ti accorgi che quando leggi i titoli di coda di un film francese, ti accorgi che meno della metà dei cognomi sono d’origine locale. Il fatto è che con buona probabilità, gli El Hamdaoui, i Krajczek e i Ciccolelli, cosi come i Belmondo, i Michalak, i Zidane e i Sarkozy, in questo paese ci sono nati.

Rischi di farci la figura di quel pescarese che avevo conosciuto tempo fa a una serata, che dopo aver chiesto a una bella ragazza arabeggiante da dove venisse, e averla sentita rispondere che i suoi genitori erano d’origine tunisina, aveva cominciato a parlare delle sue vacanze a Djerba e di come si fosse trovato bene con voi tunisini. Halima aveva ribattuto che può darsi, ma lei in Tunisia non c’era mai stata.

Magari a noi sembra ipocrita, ma se ci pensi bene, se la gente continua a chiederti di che nazionalità sei quando ti trovi a casa tua, poi al momento di cantare l’inno nazionale qualche dubbio ti viene. E da qui ad Al-Baghdadi il passo è più breve di quanto sembri.