giovedì 21 luglio 2016

La partitella



Ecco, quella sensazione di essere in sella al mondo che ti veniva in Erasmus quando ti trovavi a un tavolo con gente con radici ovunque, qui in Francia è quotidianità per tutti. È quello che si evince dalla mia prima partitella di calcio transalpina.

Arrivato al campo, abbordo prima di tutto i due ragazzi con la maglia della Juve e del Palermo. “Italiani?” “Sì...” sorriso imbarazzato. “Che, ti vergogni? Ah, mi sa che non mi capisci?” Ecco, io, questa storia che i nordafricani cerchino di spacciarsi per italiani, la avevo già riscontrata un paio di volte da altre parti, ma ora improvvisamente capisco perché sulle strade dell’autoproclamata Grande Nation, le nostre squadre a strisce siano più magliettate di quelle inglesi. Uno dei due ha le braghe del Dumfermline e gli chiedo perché. Pare abbia un amico che gioca in Scozia. Non sembra trovare la cosa particolarmente degna di nota, ma poi penso che dopo i brasiliani, i francesi d’origine lontana sono i più rappresentati nei campionati di tutto il mondo. Praticamente, qualsiasi abitante di qualsiasi cité in Francia deve avere un amico che gioca in qualche squadra di media caratura in giro per il continente.

Poi c’è uno che italiano lo è davvero, o almeno lo era finché aveva tipo tre anni. Parla anche un paio di parole, però veste Arsenal. Ci sono due gemelli cinesi. Tipici rappresentanti del calcio nuovo: magliettano Real e Barcellona (“Bale” e “Messi”, minchia ragazzi, che fantasia!) e con le loro gambettine corte ci danno dentro non male con i giochini che devono aver visto nelle pubblicità della Nike su YouTube. Poi, una volta in campo, senso della posizione poco e passaggi zero. Quanto agli spagnoli, quelli non mancano mai. Loro magliettano tinta unita, nei colori ufficiali degli spagnoli alternativi: verde olivastro e marrone foglia secca. Credo Monoprix, che è come dire l’Oviesse. Come per noi italiani, gli spagnoli possono essere alternativi e giocare a calcio. I francesi no. L’alternativo per forza pallamano* o rudbì, che nel calcio girano miliardi e violenza. 

I figli e nipoti dell’Africa occidentale sembrano prediligere la squadre inglesi, possibilmente con colori vistosi, e poi c’è anche un belga, ovviamente con la maglia della nazionale, quella rossa e nera con le striscine gialle catarifrangenti, che la rendono ideale per qualsiasi cantiere. E poi ci sono io, con la divisa del Man City del 2007, neopromosso, pre-sceicchi, e la fortuna che in quel negozio di Galway non avevano potuto mettermi il numero di Rolando Bianchi.

Rispetto a quando giocavo in Irlanda, il concetto è completamente diverso. Là contava correre, al massimo le ali lanciavano un cross al centro, ma comunque le ali erano sempre gente etnica come me. I Sean e i Brian di turno tiravano in porta anche dalla difesa. Qui invece prima di cominciare si discute come mettersi giù e se giocare a uomo o a zona. Non so esattamente come si dica centrocampista di contenimento in francese, ma sembrano capire quando gli dico che gioco come Gattuso. Anche se sono alto due volte tanto il vecchio Ringhio e infinitamente più biondo. Segno addirittura il 2-1 per noi, cosa che Ringhio forse mi invidierà. A fine partita c’è una birra per tutti, e non è neanche la temuta Kro(nenbourg).

Con la bottiglia in mano sono nel mio ambiente naturale e d’un tratto capisco cosa rispondere al prossimo che mi dice “Calcio? Troppi miliardi. Io solo rudbì”: mon vieux, la partita di calcio è l’unico posto dove vedi tutte le etnie dell’Autoproclamata stare insieme. Ci sarebbero anche i centri commerciali, ma là si sta insieme senza scambi. Al campetto invece, c’è anche chi ha portato la Cocacola per quelli che si astengono in nome del Profeta.


*Notare che nell'ultimo mondiale di pallamano (in Qatar), il Qatar è arrivato in finale. A proposito di miliardi.