lunedì 31 gennaio 2011

Cose da fare per un disoccupato

- Organizzare il viaggio lungo

- Leggere Internazionale e Courrier international

- Rinominare tutti gli mp3 sbagliati o senza nome

- Imparare due parole in wolof. Bastano le basi e un paio di termini divertenti, che non ci si aspetta che uno conosca

- Mettere ordine fra le carte

- Creare un pacchetto vacanze in Trentino per turisti olandesi. Cavarci dei soldi, ma questo anche più avanti.

- Chiudere il conto in banca irlandese o almeno verificare di non essere troppo scoperto

- Ritirare la pensione integrativa irlandese prima che l’agente assicurativo spariscao vada in pensione

- Mettere un’inserzione per dare lezioni di italiano

- Fare lunghi giri a piedi in tutte le vie di Amsterdam che non ho ancora visto

- Fare domanda per il sussidio di disoccupazione e scoprire se dare lezioni di italiano mi farà perdere il diritto

- Leggere un saggio, un romanzo d’intrattenimento e uno complesso, il libro su Patti Smith, uno di viaggi, uno di racconti in italiano e l’ultimo romanzo di Sven Regener in tedesco. Anche contemporaneamente.

- Leggere Dürrenmatt

- Scrivere di più

- Scrivere tutte le e-mail arretrate e chiamare mia prozia di Ginevra su Skype

- Scrivere altro

- Finire di scrivere quel racconto evitando che diventi un romanzo e iniziare quell'altro sul tipo che ha un negozio di fronte al semaforo parlante.

- Finire la storia del mio viaggio in Uzbekistan

- Andare fuori città in bicicletta ascoltando tutti i podcast arretrati

- Tradurre la mia storia transibirica in inglese alla matriciana e imbastirci insieme un sito

- Studiare anche le regole della lingua olandese

- Disdire l’abbonamento al treno

- Fare gli esercizi di francese sul libro dei compiti per le vacanze che mi ha passato Lilù

- Vedere tutti i musei che non ho ancora visto

- Vedere un paio di classici del cinema e sforzarmi di guardare anche Matrix, per poter fra 20 anni entrare nel gruppo "Noi che avevamo 20 anni nel duemila” su Facebook

- Sfogliare la guida del Senegal e scoprire se ci sono posti che non posso non vedere

- Riposare, se c’è il tempo

Ecco perché parlavo di fare il project manager di me stesso

giovedì 27 gennaio 2011

Disciplinata disorganizzazione

Alla fine non ho retto. Solo che non so a cosa non ho retto. Dicono sia la nuova politica aziendale, ma a volte mi sembra di aver tradito la filosofia del paese dove sono nato: lavora, trovati un lavoro come hobby, mangia, dormi un po', ma mai troppo, che ti devi tenere quel poco malmostoso. In pratica, quando mi chiedono perché mi sia licenziato, faccio capire di non gradire la domanda, per non mostrare di non conoscere la risposta. Forse non sono nemmeno stato io, a licenziarmi.

E faccio fatica a rispondere a chi mi chiede cosa farò ora, e ancora di più a chi mi chiede se ho trovato un altro lavoro.

Il fatto è che non sto cercando un altro lavoro. Perché il prossimo mese partirò già per tre settimane in Senegal e fra pochi mesi conto di partire di nuovo, stavolta per sei mesi almeno. Non vale la pena di cercare un lavoro fisso. Però c'è qualcosa in ballo, qualcosa di non fisso. Una cosa che mi attira non poco, ma se fra qualche mese si parte di nuovo, resterà tutto in sospeso prima di incassare un euro.

Devo studiare la situazione. Devo organizzarmi. So di avere la fortuna di tanto tempo libero e anni passati di vita sobria per finanziarmi. Sento di dover creare qualcosa. Sento che se non lo farò rimarrò deluso.

Nel frattempo ho mille cose da organizzare. Piccole cose che non riuscivo a fare prima, in una lunga serie disordinata. Stavolta dovrò essere il project manager di me stesso.

Nel frattempo mi scrive G, che di cose da fare ne ha sempre a miriadi. E secondo me sotto sotto è una proattiva. Ma attenzione, una proattiva che mi piace. Perché se una persona, oltre ad ammazzarsi di lavoro, trova anche il tempo di fare le cose che gli piacciono, ascoltare musica, leggere libri, le concedo tutta la proattività del mondo.

Le chiedo come fa. Mi dice che si basa sulla disciplinata disorganizzazione. La cosa mi interessa, perché io stesso sono altamente disorganizzato, ma anche disciplinato, almeno con me stesso e quando sono motivato.

La sua risposta è un’opera d’arte che merita di essere riportata in toto.

Mischi tutto. Cioe' fai quello che hai voglia di fare nell'esatto momento in cui hai voglia di farlo (lettura, scrittura, lavoro, ambiziosa pianificazione del futuro, organizzazione viaggi, relazioni virtuali e non...). Allo stesso tempo, ovviamente, devi rispettare scadenze e priorita' imposte dal mondo fuori (che poi e' lo stesso che dentro, ma qui la faccenda si fa piu' spinosa.) E dunque, ecco la contraddizione. Tu ogni giorno hai fatto tutto. Sistematicamente. Alla cazzo. Entusiasta. E senza esserti accorto di non aver dormito. C'e' solo quella sciocchezza del logorio fisico, rapidissimo, da sistemare. Per ora ovvio con narcosi spontanea in luoghi e orari sorprendenti. Ma risolvero'.

Mi piace. Tanto. Tutto tranne la parte sul sonno, ma per me il problema non si pone, perché la differenza fra noi due è che io avrò almeno 8 ore al giorno in più di lei.

Ho deciso che in questi mesi farò tutto. Alla cazzo. Entusiasta. E se una cosa mi piace più di un’altra, uscirà fuori da sola.

venerdì 21 gennaio 2011

Storie di camere d'aria

Ultimamente arrivavo sempre in ufficio con qualche minuto di ritardo. Credevo di essere ancora debole dopo la malattia che mi sono portato da Stoccolma. Per quanta forza scaricassi sui pedali della bicicletta, il contachilometri non arrivava mai ai 20 all'ora.

Poi mi sono accorto che la gomma posteriore era leggermente sgonfia. Prima solo un po' morbida, tanto che non ero neanche sicuro che lo fosse davvero, poi sempre di più, finché ho cominciato a percepire i rilievi delle biciclette stilizzate dipinte sulla ciclabile.

Poi, passando davanti al MacBike mi accorgo che hanno una pompa da usare gratis e sai che ti dico? Quasi quali mi ci fermo. Anche se fra venti minuti avrei un appuntamento dal dentista, che ha accettato di convertire 80 euro della mia vita in una capsula uguale a quella che mi è saltata ieri sera.

Il MacBike è una delle grandi istituzioni di questa città ciclabile, una di quelle che traggono più euro dalle borse dei turisti. Affittano quelle biciclettine rosse tutte identiche, che solitamente vedi procedere in linea ubriaca e con un rapporto troppo morbido, dirette da stormi di turisti che scampanellano a caso nella felicità di sentirsi per un fine settimana olandesi fra gli olandesi. Per una volta il MacBike tornerà comodo anche a me.

La pompa è un pezzo di ottone con due valvole e io non riesco ad intuire dove fare pressione. La fretta mi fa ancora più pigro e decido di fare un veloce salto nel negozio e chiedere istruzioni.

Tolgo la chiavetta del blocco per la ruota posteriore e scatto, sbattendomi la porta alle spalle. È la fretta a parlare per me, in olandese. “Ruota… Buco, pompa?” Risposta “Entschuldigung, können Sie bitte wiederholen?” Non fosse per l’accento indubbiamente olandese, direi che mi ha risposto in tedesco. Chissà, forse viene dal Sud. Stavolta mi ci metto con più lena, faccio “Dunque, c’avrei la ruota sgonfia, ma non capisco come funziona la pompa”. Lui mi risponde di nuovo in tedesco, allora io, in un inglese d’emergenza, giusto perché non mi va di passare per tedesco: “Oh, sorry, du iù speck ingli?” “Ah, ma sei italianoooo!” - Esiste una lingua che quest’uomo non parli? Faccio per riportare il discorso sulla gomma, e quello mi fulmina “vieni dal Trentino?” Alché io, con tutte le sindromi di inferiorità di uno che viene da un posto che per i telegiornali non esiste e per l'italiano medio è un po' in Veneto e un po' in Germania, decido di regalare 5 minuti di pausa al dentista e chiedo delucidazioni. “Come hai fatto a capirlo?” “No, niente, il mio collega è trentino”. Risposta banale, per uno che sperava di aver dato lustro al patrio suolo. “Vabbè, salutamelo. Sai, siamo in pochi laggiù, capace che lo conosco”. Mi dice di tornare domani per salutare il conterraneo, io gli rispondo che domani lavoro, ma tra una settimana finisco e vado volentieri a far comunella con uno di noialtri.

Parto e il cronometro va subito sui 20. E infatti questa non è una storia con una morale, ma con una conclusione fisica: una gomma gonfia spinge una bicicletta ad una velocità superiore del 20% rispetto ad una anche poco sgonfia. E pare poco, ma sono i 10 minuti che ti evitano la predica del capo perché sei arrivato ancora con nove minuti di ritardo.

E poi, a proposito del capo, la storia non finisce mica qui, perché la ruota regge per un'altra quindicina di chilometri, sgonfiandosi di nuovo impercettibilmente, fino ad abbandonarmi del tutto la mattina dopo, lungo l'Amstel, nell'unico punto lontano da tutto, dove non passano neanche i mezzi pubblici. Già in ritardo, mi tocca telefonare al capo e farmi venire a prendere con quella Volvo familiare che ormai solo lui ha.

È un periodo un po’ così. Si tratta di tirare avanti ancora una settimana e poi avrò tempo di riposare.

venerdì 14 gennaio 2011

Bernd, baby, Bernd

Bernd è una specie di ossessione.
Basta il nome a descriverlo: Bernd, suona talmente serio da far sorridere. Fa le cose per bene, fa le cose precise. In giacca e cravatta, oppure con il pantalone leggermente troppo corto e la felpa arancio e nera, ma anche col completo da ciclista, perché se le cose le vuoi fare veramente bene, per andare in bicicletta ti devi vestire da ciclista. È sempre stato così e non si capisce perché dovrebbe essere altrimenti.
Forse è la sua faccia quadrata, con il mento sporgente e un'età molto più giovane di quanto potresti mai credere vedendolo. Forse ancora di più quel sorriso con cognizione di causa, che scatta quando è ora, quando il riso è ammesso, come a carnevale o per la battuta di un cliente. Un sorriso che stona con la serietà del resto del volto e una risata profonda, che viene dalle budella. Quando raggiungi il massimo della normalità, ogni elemento anormale risalta ancora di più. Ti definisce come il blues è definito dalla blue note, la nota discordante che rende blues il blues.

Bernd è una persona responsabile, di quelle che direbbero res-pon-sa-bi-le ed è un ottimo rappresentante commerciale, perché sa essere neutro come un'acqua minerale naturale e competente come un manuale di istruzioni cartonato. Bernd parlerebbe del tempo, ti chiederebbe della famiglia, dei figli, ma in realtà è più semplice non chiederti nulla. Sorridere bonario e ascoltare. Parlare solo se informati e con un tono placido e conciliante.

Ascoltarlo, perché se parla non ama le interruzioni, e perdersi dopo una frase e mezza, perché non si capisce di cosa parli. E quasi addormentarti, perché le circostanze impongono l'impasse e la cadenza ti invoglia, così il sonno è la reazione più ovvia. Sai bene che Bernd non parla mai a vanvera, ma non riesci a seguirlo. All'inizio te la prendi con te stesso, poi scopri che è così per tutti. È impossibile seguirlo: la sua voce neutrale odora di cloroformio. Te lo fai scrivere per email, ma è lo stesso. Studi il testo. Ogni parola ha senso, le frasi sono compiute, l'inglese impeccabile, ma non afferri di cosa stia parlando.

Di Bernd non c'è altro da raccontare. Caratteristiche stilizzate, frasi tipiche ripetute spesso, tratti fisici marcati, faccia quadrata. Bernd ha tutto ciò che serve ad un personaggio dei fumetti. Per questo ci piaci, Bernd. Per questo sei la nostra mascotte, ma anche il simbolo di quello che in questa azienda non va.

mercoledì 12 gennaio 2011

Tirata pedante a te, che contesti multe sacrosante

Su Internazionale ci sono 3 dico 3 pagine di microestratti da WikiLeaks.

Prendi questo

"Nell'ottobre 2009 Ann Pickard, responsabile della Shell per l'Africa subsahariana, ha detto che il gruppo si era infiltrato nei principali ministeri del governo nigeriano".

e ancora questo

"Nel 2009 la Pfizer ha pagato un team di investigatori per trovare prove di corruzione a carico del ministro della giustizia nigeriano e costringerlo a fermare un'azione legale contro il gruppo."

e questo

"Il Vaticano ha impedito ai suoi prelati di testimoniare nell'inchiesta sugli abusi sessuali del clero irlandese".

Uno li legge tutti e alla fine della terza pagina, sotto la foto di Assange con i capelli biondomorgan, riscontra due effetti discordanti: si deprime perché il mondo non andrà mai vorrebbe lui, ma allo stesso tempo perde sensibilità. Fra le notizie riportate sopra, il fatto che un dispaccio del 2007 sostenga che i mezzi d'informazione francesi siano dominati da un'élite ristretta e cedano facilmente a pressioni politiche e commerciali perde di importanza, una goccia in un mare pieno di petroliere che si spezzano come uova.

È così: quando ci sono troppi scandali, gli standard di gravità si abbassano. Tangentopoli è stata uno scandalo nel '92, ma succedesse ora, chi si scandalizzerebbe più, in mezzo al torpore generale a cui ci siamo abituati?

È un po' il motivo per cui sia Storace che Rutelli sono ancora al loro posto: hanno approfittato della loro carica per comprare casa a Roma a pochi euro, ma è nulla in confronto alle storture che ogni settimana leggiamo sull'Espresso o vediamo su Report. C'è sempre qualcosa di peggio da qualche parte. Così, visto che da qualche parte bisognerà cominciare a raddrizzare torti, spendiamo tutto il tempo a chiederci da dove cominciare e alla fine non si comincia mai perché c'è sempre uno scandalo nuovo a cambiare il fuoco dell'attenzione.

È il comportamento della massa che determina cosa è accettabile e cosa non lo è. Un comportamento diffuso diventa accettabile. Per questo dico che tu, che parcheggi in divieto di sosta e ti lamenti perché con tutti i ladri che ci sono in giro danno la multa a te, sei la causa di ogni scandalo italiano.

venerdì 7 gennaio 2011

Capodanno e sentirlo appena

Gli sci da fondo sono molto più leggeri di quelli da discesa. Hanno un attacco rivestito di gomma che ti permette di sollevare il calcagno tenendo la punta del piede agganciata. Sembrano sci da disconto, ma sono funzionali allo scopo di sciare in pianura.

E faccio clic clac con il calcagno che si alza e si appoggia, si alza e si appoggia, mentre gli sci fanno squish squosh sui binari che ha scavato nella neve chi mi ha preceduto ore o giorni prima.

Sono le due e mezzo e considero un tramonto che durerà ancora un’ora, dietro gli alberi attorno al lago innevato che sto circumnavigando con gli sci ai piedi. Nascoste fra le foreste, mi guardano poche case di legno dipinte di ruggine.

Realizzo che è il 31 dicembre, registro, dimentico.

La sera comincia prima delle 4. La notte è lunga e a mezzanotte pare siano già le 3. Scendiamo al lago ghiacciato, evitando le buche aperte per pescare, improvvisiamo un dieci nove otto arbitrario e olandese e allo zero Tomas sta ancora cercando di togliere il sigillo dalla bottiglia di spumante.

Torniamo al caldo e le ragazze vanno a letto una dopo l’altra. Noi in qualche modo tiramo avanti fino alle 2, ma domani conviene sfruttare il sole e non ci si può alzare troppo tardi. Non ci prendiamo neanche la briga di ubriacarci decentemente.

Più tardi, sugli sci da fondo, sullo stesso lago, ma in senso contrario, realizzo che è il primo gennaio. Registro, dimentico.

Il mio trentesimo capodanno: un mese di vita speso in capodanni. Almeno trenta bottiglie di spumante, trecento secondi di conto alla rovescia. E stavolta non c'è neanche un mondiale, un’olimpiade, un’elezione generale da aspettare.

Il capodanno avrebbe senso in momenti nei quali davvero succede qualcosa, come alla fine del campionato di calcio. C'è un vincitore, qualcuno si qualifica per la coppa, altri retrocedono. Calciomercato e via di nuovo.

Così tra l'altro, oltre agli interisti, potremmo festeggiare anche tutti noialtri, con botti e ubriacature estive, anche chi è stato retrocesso. Oppure chi è stato retrocesso salta un anno, ma in questo caso chi tifa Lecce o Brescia non raggiungerebbe mai la maggiore età.

A giugno ci sarebbero classifiche dei migliori dischi del campionato passato e riepiloghi di eventi, dove nessuno spenderebbe parole per il discorso che il Presidente della Repubblica ha tenuto verso la fine del girone d’andata.

Invece fra il 31 dicembre e il primo gennaio io sono in una casa di legno a Mora, quattro ore di corriera a nord di Stoccolma, con il mio compagno di avventure Tomas, la sua ragazza olandese e le sue amiche del paesino. Alberi, neve, case di legno. Si fa la sauna e ci si tuffa nella neve che pizzica. Poi ci si butta sotto la doccia senza accorgersi che è finita l'acqua calda.

Ma non fa così freddo al Nord, almeno fino alla mattina in cui partiamo per Stoccolma. In una notte il termometro si affossa di più di dieci gradi e con -16 il gelo mi tocca la pianta del piede attraverso la suola rinforzata degli anfibi. Giusto in tempo per rintanarsi nel treno e guardare per tre ore alberi, neve e case di legno, che sono gialle nei paesi, rosso ruggine nei boschi.