lunedì 28 gennaio 2013

Spostarsi

Questo bugigattolo di resistenza umana si sarebbe dovuto spostare su Wordpress, da un pezzo.

Solo che un giorno, passeggiando in Nuova Zelanda, mi è venuta un'idea perfetta per un nuovo titolo e ora non me la ricordo più.

Da quando ho scoperto cosa è successo a Barney Panofsky, ho la fobia dell'Alzheimer.


giovedì 24 gennaio 2013

Sui giovani d'oggi



Quando abiti in un paese piccolo, non è che tu possa scegliere con chi uscire. Ci sono un certo numero di persone e devi pescare fra quelle. Escludi l’escludibile, ma alla fine ne rimangono poche.
Sarà questo, o sarà più che altro il fatto che i miei coscritti sono tutti sposati, fatto sta che ultimamente si esce con gente che ha l’età di El Shaarawy.


Ed è bene, perché i giovani d’oggi ci stanno dentro molto più di noi. Per iniziare ne sanno di più. Leggono libri, guardano film senza esplosioni, ascoltano musica. Tutto grazie ad internet, stimoli culturali che ai miei tempi anche se li cercavi ti toccava minimo minimo sfangare gli scarponi e scendere verso la Capitale.
Ma il motivo per cui dico che salveranno questo mondo snobbo e spocchioso è che hanno buttato a mare le ideologie, quelle musicali e anche quelle politiche, che ai miei tempi erano collegate. Oggidì uno che ti ascolta punk, sulla protesi musicahe ha anche un po' di jazz, due o tre canzoni folchettose e una che è passata per Sanremo. “Mi piaceva”, ti dicono con candore, mentre io alla loro età li avrei ostracizzati come traditori dell’Ideale Supremo dell’Alternatività. E qui esce allo scoperto il legame con la politica. Perché uno che nella playlista ha i Rage Against the Machine e pure Niccolò Fabi, non ti stupisce che possa votare a destra o a manca a seconda del contesto, senza aderire con fede da tifoso ad un partito del cuore, come facciamo noi dai trenta ai cento.

Sono disillusi, loro, il che è cosa buona e giusta, se la disillusione porta con sé lucidità e ragione. Forse se ce ne fossero di più, di giovani d’oggi, potremmo farla finita una volta per tutte con quelli che cantano l’Internazionale ai funerali della gente, o quelli che fanno il picchetto alla tomba del duce, visto che ci siamo. È che poveretti, sti giovani sono in netta minoranza.

venerdì 18 gennaio 2013

La rivincita di Mio Nonno Marino



Mio Nonno Marino è sempre stato una persona mite. Senza conoscere Gandhi ha praticato la resistenza passiva nei confronti delle continue critiche da parte di Mia Nonna Lina. Quando non ce la faceva più, sfogava la sua rabbia lavorando. Finito il turno in fabbrica nella Capitale (delle Alpi, o così la chiamano qui), prendeva il tram e la corriera per recarsi nella natia Valley of Don't a coltivare la campagna. Tornava a casa per cena e dopo mangiato si addormentava sulla sedia.

Questa è una storia de sti anni e come tutti sanno nella Valley of Don’t, le storie de sti anni sono epiche, eroiche, difficilmente credibili, ma assolutamente vere. Sti ani non si discutono, servono a dimostrarci come noi giovani possiamo lavorare fino a farci una schiena come un tronco di salice, ma rimaniamo sempre viziati dalla vita e dobbiamo dire grazie a chi si è fatto un mazzo così per darci un’educazione.

E comunque la proverbiale mitezza di Mio Nonno Marino è sempre stata davanti agli occhi di tutti, nell’immagine di lui sorridente mentre Mia Nonna Lina gli crida per essere entrato in casa con gli scarponi pieni di palta, o all'ennesimo giorno di convivenza forzata con la Zia Fulmy, che pur avendo ereditato in anticipo l’appartamento nella Capitale, ha scoperto che vivendo a casa dei genitori si mangia gratis.

E poi è arrivata la badante e tutto è cambiato. Per la verità la badante è rimasta solo una settimana, prima di essere accusata di pigrizia dalla Zia Fulmy per aver rifiutato di prepararle cena e di incapacità da Mia Nonna Lina per non aver riposto gli oggetti della casa nell’ordine che lei da decenni sapeva essere il più logico.

A Mio Nonno Marino la badante stava simpatica. Castamente, perché lui è un uomo mite e ha anche l'età che ha. Forse si sentiva coccolato, per una volta: una sensazione che per uno cresciuto sti ani dà lo stesso sollievo provato quella volta che ha tolto i giornali vecchi dal bagno e con la tredicesima si è comprato il primo rotolo di carta igienica.

Così, in una settimana Mio Nonno Marino è cambiato più di quanto lo avesse fatto nei sessanta anni precedenti e ha iniziato a reclamare quello che è suo di diritto. Ora non tace più. Ora esterna quello che pensa, tutto quello che si è tenuto dentro per tutto questo tempo. Ringhia a mia nonna quando non considera la sua opinione sulle materie pratiche e si lancia sulla Fulmy quando le vede passare pomeriggi a "scrivere in quei giornaletti coiquadrati”.

Reclama la sua dignità ferita. Dalla badante ha scoperto che il rispetto esiste, e ora se non lo si rispetta si incazza che non c'è più verso di sentirlo. E quando ha finito di sfogarsi prende la Panda blu e fa slalom sui 5 chilometri a quattro corsie (Mio Nonno Marino ci vede doppio) che portano fino al mio paese. Entra nella casa dell’unica figlia che da lui ha ereditato la mitezza, si siede nel salone nuovo e legge Il Trentino, offrendo la sua personalissima editoriale sugli ultimi fatti d’attualità.

Solo qui, leggendo le gesta dell’Assessore che lo chiama prima di ogni elezione per ricordargli la loro lontana parentela e degli altri eroi del Partito Autonomista Trentino-Tirolese, Mio Nonno Marino trova la pace dei sensi che può provare solo uno che dopo 85 anni comincia a togliersi qualche sassolino dalle scarpe.

venerdì 11 gennaio 2013

Un ladro



In pratica l’hanno capito tutti che è un ladro, no? Basti pensare che non ho neanche detto di chi parlo e hai già indovinato chi è.


Poi ci sono quelli che hanno capito che è un ladro, ma lo voteranno lo stesso. E poi ci sono i tifosi, che ammetterlo vuol dire tradire e allora volessemailcielo.


E allora se l’abbiamo capito tutti, proprio non capisco perché in tivvù ci sia ancora gente che ci spiega quanto sia ladro. Solo il silenzio lo seppellirà.

martedì 8 gennaio 2013

Temere il zelten

Non tutte le tradizioni sono degne di essere tramandate, neanche quelle natalizie. Ad esempio, da noi si fa il zelten, una torta durissima fatta con un trito di noci miste e qualche candito. Un dolce sapore del passato per gli anziani della valle, che ne fanno omaggio a famiglie e amici. Così finisce che verso Natale ci si trova con due o tre zelten in cucina, oltre alla catasta di panettoni e pandori d’ordinanza. 


Il fatto è che il zelten è l’equivalente dolciario di Nilla Pizzi: un ricordo sempreverde per gli anziani, un gusto più polveroso che antico per i giovani. Nessuno il cui palato sia stato formato a forza di biscotti del Mulino Bianco è in grado di comprendere la forte anima pastosa del tembile mattone marrone. 

E a differenza di pandori e panettoni, il zelten non lo si può nemmeno riciclare come regalo. È fatto in casa e non può quindi essere rimesso in circolo senza millantarne la creazione, cosa che tralaltro non andrebbe a favore del riciclatore. E poi è un peccato buttar via un regalo, soprattutto se fatto a mano. Insomma, il zelten bisogna trovare un modo per finirlo. 

Per questo a casa mia sotto Natale non si comprano più le brioche per colazione, in modo da costringere la famiglia intera a finire il temuto zelten, operazione pur sempre preferibile all’idea di aprire la giornata con i cotechini della sera prima. Quest’anno di zelten ne abbiamo ricevuti tre e domani mattina, con un po’ di buona volontà conto di arrivare a metà dell’ultimo, quello della nonna. Ancora un po’ di pazienza e le feste saranno davvero finite. Finalmente.