Potrei raccontare
un sacco di cose, su scogliere friabili che si tagliano con un grissino,
ruscelli pieni di cercatori d’oro, foreste con alberi di felce, battute di
fotocaccia all’ornitorinco e il più grande dragone cinese al mondo che sfila
nel Sud dell’Australia per il carnevale. Che cade il giorno di Pasqua.
Vorrei raccontare
tutte ste cose, ma mi manca il tempo, o meglio, la batteria. Ultimamente si
dorme gratis nei boschi e anche quando si sta in ostello, come è capitato a
Melbourne, ci sono così tante cose da fare che non c’è mai il tempo di rianimare
il portatilino bordò metallizzato.
Tante cose da
fare nella capitale culturale australiana, tutte a contatto con i cinesi.
Honkonghiani, singaporegni, macaensi, taiwanesi o pechinesi, tutte le
gradazioni del giallo. Centinaia di migliaia solo quelli che risiedono nello
stato del Victoria, a cui aggiungere i turisti che posano per fotografie lungo
la Great Ocean Road, con le dita di entrambe le mani che formano il segno della
vittoria, o quelli nel cottage del capitano Cook – al quale ho sempre invidiato
i viaggi e la giacca – che vedono le stanze attraverso lo schermo della
macchina fotografica e non hanno tempo per verificare se quello che stanno
fotografando esiste davvero. E il tipo che al parco posa seduto sotto un
albero, mentre finge di leggere qualcosa sull’Ipad. Ma non pensano solo alle
fotografie, i cinesi, si entusiasmano anche quando vedono un registro per gli
ospiti, o almeno il tronco di un albero o una parete su cui scrivere nome e
provenienza.
E sul molo sulla
spiaggia di Saint Kilda, mentre migliaia di pinguini nani cercano un rifugio
fra le pietre per passare la notte, sono loro a gridare marzialmente “No
flash!” agli altri turisti appostati. Questo per chi crede che i cinesi abbiano
il cuore in finta pelle.
Io gli voglio
bene ai cinesi, con le loro macchine fotografiche che sembrano mortai, perché
dopo che la Rivoluzione gli ha cancellato una storia lunga millenni, hanno
l’entusiasmo di adolescenti a lezione dal mondo.
Sarei pronto a
lasciargli le redini del mondo, se non fosse per una cosa: che loro, abituati a
prendere ordini dall’alto, assorbono qualsiasi boiata gli infligga il mondo
occidentale. Prendi il poker. Ad Ovest abbiamo sdoganato le carte, un tempo riserva
di caccia di chi rinunciava a priori ad uscire di casa perché tanto di
rimorchiare non se ne parlava comunque. Improvvisamente su Sky nascono canali
dedicati al gioco delle carte, e su internet appare Totti che ti invita a fare
una partitina. Appunto, in televisione o su internet. Non avevo mai visto gente
giocare a poker davvero, con carte di cartone. Poi arrivo a Melbourne e nei
ristoranti vedo tavolate di dieci cinesi che giocano a carte con soldi veri e
l’aria confusa e divertita che hanno loro quando provano qualcosa di nuovo e
straniero.
Questo, e anche
le magliette con scritto “Add me on Facebook”. E le file ordinate di computer con
tastiere cinesi che ciucciano il WiFi nei McDonald della nazione intera. E gli
Ipod che suonano la Britney con la convinzione di essere nel giusto che ha un
indie-snob quando ascolta i Beach House.
Spero solo che
prima che diventino i padroni del mondo la fase adolescenziale passi.
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