giovedì 18 febbraio 2010

Giocoforza

Entrepotdok mi è sempre piaciuto. È una specie di isolotto superespanso negli anni, tanto da disinsularizzarsi trasformando l’acqua che lo distingue dalla terraferma in semplici canali. Entrepotdok ha perso la dignità di isola, ma ha guadagnato una vista ampia e diretta su okapi, gazzelle a altre bestie del settore africano dello zoo d’Amsterdàm. Ma non è un posto così esotico, anzi, è completamente ricoperto di quei mattoni marrone violaceo che identificano tutto ciò che è tradizionalmente olandese. Fino al 1890 l’isola era presidiata da 84 magazzini per la merce trasportata su supporto galleggiante, poi, negli anni ’80 i magazzini, ognuno con il nome di una città olandese o belga, sono stati convertiti in abitazioni, bar e negozi. Della storia commerciale restano una gru cabinata e un ponte sollevabile di metallo, monumenti di preistoria industriale.

A Entrepotdok, al piano terra del magazzino Eindhoven, ci sarebbe la Bonardi, che è l’unica libreria italiana in questa nazione acquatica quassù. La Bonardi è uno di quei negozi dove non compreresti mai nulla, ma è bello che ci siano. Non ci compreresti nulla perché i prezzi sono un paio di euro più alti di quelli delle librerie elettroniche italiane, spese di spedizione incluse. In più i libri sono spesso sdruciti e ingialliti, quindi non è certo il posto per risparmiatori o collezionisti. Però, si diceva, è bello che ci sia. È bello fare un giro fra volumi in lingua italiana, toccarli, leggere un paio di pagine, soppesare e sceglierne uno o due fra cinque, potendo averli tutti a portata di mano. Per questo, come succede nei negozi che è bello che ci siano, ma non ci compreresti mai nulla, va a finire che spesso qualcosa lo si compra. L’importante è non partire con l'idea di farlo.


Ci sono stato una settimana fa, alla Bonardi, a fare un giro, parlare italiano con la commessa, ascoltare la stessa commessa parlare italiano con altri. Cose che se stai all’estero da un po’ apprezzi. Ho buttato l’occhio qua e là, soprattutto sui libri in offerta, ne ho aperto uno sui blog e sfogliando l’introduzione mi è caduto l'occhio sulla parola “giocoforza”. Così mi sono chiesto perché. Perché dire “giocoforza”, invece di “per forza”, “necessariamente”. Perché vabbè, la forza si spiega da sola, ma il gioco?

È una parola che può usare uno che è convinto che a parlar forbito si arringhino le folle. E su questo siamo d’accordo, solo che "giocoforza” non è parlar forbito. “Giocoforza” è come “egli” o “giuoco”, una ribellione al decorso naturale della lingua. Chi la vuol leggere un’introduzione scritta da qualcuno che dice “giocoforza”?

E infatti alla fine il libro l’ho comprato. Raccolta di racconti scritti da blogghettari nel 2004. Da notare che nessuno dei blog menzionati nel libro esiste più dopo cinque brevi anni. Da notare anche che nei primi cinque racconti ho trovato davvero poco. Sembra che gli autori siano stati strappati con la forza al loro blog per scrivere un temino utile soprattutto per promuovere il blog.

Poi mi chiedo cosa mi aspettavo da una raccolta di racconti selezionati da una che dice “giocoforza”.

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