giovedì 12 marzo 2009

Ornithology


Eintagsfrühling, dice la radio tedesca, come le Eintagsfliegen, gli insetti che nascono, consumano, producono e crepano in un solo giorno, la notte il loro inverno e la luce la loro estate. Una primavera di due giorni, una caparra versata su quella vera, che arriverà fra uno o due mesi.

Ma basta per svegliare me e svariate altre creature, che s’involano ma anche no al passare della mia bici sulla strada verso il mio ufficio di campagna, che ogni giorno mi costringe a tornare alla natura, per seguire i suoi cicli e le sue usme, bestemmiare nel vento e bearmi al sole, intelarmi nella pioggia e dare di dinamo di notte.
Un percorso placido, addirittura selvatico nonostante i palazzoni di Amstelveen mi guardino dall’alto da una parte del fiume che si chiama come la birra e lo stadio dell’Ajax in simmetria dall’altra.

E nonostante tutto, lo stesso percorso, se pedalato dieci volte ogni settimana, dopo un po’ finisce per dare ai nervi. La monotonia è una brutta bestia, ma per fortuna ci sono centinaia di uccelli divertenti a spezzarla.

Gli uccelli segnano il tempo per il ciclista agreste. I germani reali, noiosi nella loro onnipresenza, sono rimasti tutto l’inverno. Non lo avrei mai detto, ma ce l’hanno fatta. Li vedevi barcollare sul fiume ghiacciato, con la testa sprofondata nel loro bomber di piume. In tedesco si chiamano Stockente, l’anatra bastone, forse perché si spostano con un bastone in culo.

Con loro le mie amiche folaghe, che d’inverno sembrano ancora più nere, con il naso adunco ancora più bianco. Gonfie, le folaghe, devono aver messo via parecchio grasso. Mi è venuto in mente vedendone una stecchita in mezzo alla strada, con le zampe rigide puntate verso l’alto, come i polli del furgoncino del lunedì mattina in paese. Le mancava solo il vassoietto di polistirolo e il cellofàn etichettato.


Anche gli aironi cinerini ce l’hanno fatta. Quest’inverno se ne vedevano a decine, con quel fare da soprammobili per case di anziani, fissi lungo l’argine dei canali come badili in attesa della stagione operativa. Anche loro ogni tanto finivano sotto il SUV di qualche ricco oudecherchiano, che li trasformava in fossili di pterodattili e faceva una certa impressione passare con la bici sopra un metro buono di bestia, capace da morta di incutere una specie di timore ancestrale. Più allegri i fagiani, dal passo lungo e l’andatura trafelata. Non si sono visti per tutta l’estate, poi un giorno ne ho beccati sei insieme in un campo appena arato, poi saltuariamente qualcuno isolato lungo i fossi.

Belli, ti viene da fermarti a guardarli, perché sembrano finti, esemplari da esposizione, appena dipinti e pettinati. Sembrano alpini, cappello verde e pennacchio (sulla coda però), una camicia da taglialegna e l’occhio rosso ad indicare il rituale abuso d’alcol. Ti viene da chiedergli che cazzo se ne facciano di un corpo di colore mimetico, se poi si sputtanano tutto l’effetto sorpresa con quel bollo rosso su verde. Lo sanno anche i putelotti delle medie che rosso e verde sono colori contrastanti.

E ora è primavera, almeno per un paio di giorni, che intanto vanno avanti da una settimana. Arrivano ogni giorno nuovi uccelli esotici per un uomo alpestre come me. Per prime le folaghe deluxe, quelle con carrozzeria blu elettrico e becco rosso, innovate anche nel design, più dinamiche e compatte. Poi sono tornate le beccacce di mare, già il primo giorno ne ho viste subito una decina nell’arco di 500 metri. Simpaticissime anche loro, polli bianconeri su trampoli, con un lungo becco rosso arancione che le fa sembrare affabili e spensierate.


Credo sia proprio per via del becco che gli uccelli mi sono sempre stati simpatici. Gli dà personalità, gli dipinge in faccia un’espressione che tendiamo ad interpretare con criteri antropologici ovviamente sbagliati. Così la cazzuola larga dei germani reali li fa sembrare tonti, le folaghe invece passano per grandi intellettuali con la loro tenuta sobria e il naso adunco. Gli aironi sono James Dean, con il becco dinamico e il ciuffo da belli e maledetti.

K gli uccelli li ha studiati e li riconosce dal verso. Ogni tanto per strada si ferma, sorride e mi chiede se l’ho sentito. Io l’ho sentito, ma non so cosa sia. A K piacciono i Kiebitz, un nome bellissimo per quelle che da noi si chiamano pavoncelle. Lei ne vede a migliaia, io non ne ho mai beccata una, e dire che ci terrei.
Comunque, parlando di nomi, l’uccello col nome più bello è l’usignolo. Non in italiano, ma nelle altre lingue: Nachtigall, nightingale, rossignol. K mi ha raccontato che qualcuno ha provato a mettere insieme usignoli europei e cinesi, per vedere se possono riprodursi. Pare che l’operazione sia fallita per incompatibilità linguistica. La femmina non apprezzava il canto della variante transcontinentale. Un po’ come quelli a cui non piacciono le ragazze che hanno gusti musicali diversi.
Anch’io mi sa che con una metallara non mi ci metterei mai.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Qui a Noordwijk sono tornati i gabbiani.
Che dove erano finiti esattamente non lo so, ma ce ne sono stati meno per un po'.

Cosi', ecco, per dire.

bastian contreras ha detto...

Dì, dì, Meisje, che è anche per dire che siamo qui.

Io i gabbiani di solito non li noto. Tendo a darli per scontati, come i piccioni, solo che i piccioni si notano perché ogni volta che ne vedo uno non posso fare a meno di pensare "che noia, sempre piccioni". Lo stesso vale per i merli, ma loro sono più simpatici.
Tra l'altro mi sono dimenticato dello svasso, una gran bella bestia. Roba che quando ho chiamato i miei ho detto a mio padre "lo sai che ho visto lo svasso?"

Anonimo ha detto...

Cavolo, non sentivo tanti nomi di uccelli tutti in una volta da quando trascorrevo le mie nottate in compagnia di un ornitologo a censire uccelli notturni (ma perché le ragazze non possono fare a meno di seguire le imprese dei loro innamorati?) e gli chiedevo: "Ma come cavolo fai a censirli, che non si vede niente?""Dal canto cara, dal canto...". Una vita fa. Per quello il tarabuso mi ha sempre incuriosito...so come parla, ma non l´ho mai visto...
Nel mio giardino di qui ci sono sempre le ghiandaie, quelle bianche e nere con le piumette azzurrine, che invece a trento mio padre chiama sempre gazze, come quelle del mare...
adelaide

bastian contreras ha detto...

Aspetta, ora mi metti in crisi.
Io ho sempre definito gazze (Elster là da voi) quelle nere con l'ala bianca e blu elettrico. Le ghiandaie sono uguali e imparentate, ma cambia il nero con un arancio ramato. Sbaglio? Non consulto la rete per tenere aperte le vie della retorica.

Anche K, che poi è la mia ragazza, ha studiato biogeografia per qualche anno e anche lei sa distinguere gli uccelli per il verso. Anch'io l'ho sempre ammirata per questo. ora sto cercando di farci caso, ma sono deluso perché mi sa che il verso più bello lo fa il merlo, che è anche il più comune. Il tarabuso non l'ho mai visto, né ho idea del verso, ma ultimamente sono abbastanza preso con gli svassi. Che belli, gli svassi, che sembrano volpi.

Anonimo ha detto...

ooops! Scusa, ho invertito i nomi..qui ci sono le gazze (quelle bianche e nere con la coda lunga lunga). È in trentino che chiamano gazze le ghiandaie (che sono piú piccole e grigio-beige-marroncino). Peró l´azzurro ce l´hanno tutte e due...a quanto pare le serate con l´ornitologo non sono poi servite a molto...
Elster, esatto, che fra l´altro é il programma per il computer che usano i tedeschi per fare la dichiarazione dei redditi (ELektronische STeuer ERklärung), con un nemmeno tanto velato accenno all´aggettivo che, solitamente, accompagna la gazza...ma che simpaticoni, questi crucchi!!!
adelaide