Ecco, quella sensazione di essere in sella al mondo che ti
veniva in Erasmus quando ti trovavi a un tavolo con gente con radici ovunque, qui
in Francia è quotidianità per tutti. È quello che si evince dalla mia prima
partitella di calcio transalpina.
Arrivato al campo, abbordo prima di tutto i due ragazzi con
la maglia della Juve e del Palermo. “Italiani?” “Sì...” sorriso imbarazzato. “Che,
ti vergogni? Ah, mi sa che non mi capisci?” Ecco, io, questa storia che i
nordafricani cerchino di spacciarsi per italiani, la avevo già riscontrata un
paio di volte da altre parti, ma ora improvvisamente capisco perché sulle
strade dell’autoproclamata Grande Nation, le nostre squadre a strisce siano più
magliettate di quelle inglesi. Uno dei due ha le braghe del Dumfermline e gli
chiedo perché. Pare abbia un amico che gioca in Scozia. Non sembra trovare la cosa particolarmente degna di nota, ma poi penso che dopo i
brasiliani, i francesi d’origine lontana sono i più rappresentati nei
campionati di tutto il mondo. Praticamente, qualsiasi abitante di qualsiasi cité
in Francia deve avere un amico che gioca in qualche squadra di media caratura in giro
per il continente.
Poi c’è uno che italiano lo è davvero, o almeno lo era
finché aveva tipo tre anni. Parla anche un paio di parole, però veste Arsenal.
Ci sono due gemelli cinesi. Tipici rappresentanti del calcio nuovo: magliettano
Real e Barcellona (“Bale” e “Messi”, minchia ragazzi, che fantasia!)
e con le loro gambettine corte ci danno dentro non male con i giochini che devono aver visto nelle pubblicità della Nike su YouTube. Poi, una volta in campo, senso della posizione
poco e passaggi zero. Quanto agli spagnoli, quelli non mancano mai. Loro
magliettano tinta unita, nei colori ufficiali degli spagnoli alternativi: verde
olivastro e marrone foglia secca. Credo Monoprix, che è come dire l’Oviesse. Come
per noi italiani, gli spagnoli possono essere alternativi e giocare a calcio. I
francesi no. L’alternativo per forza pallamano* o rudbì, che nel calcio girano miliardi e violenza.
I figli e nipoti dell’Africa occidentale sembrano
prediligere la squadre inglesi, possibilmente con colori vistosi, e poi c’è anche
un belga, ovviamente con la maglia della nazionale, quella rossa e nera con le
striscine gialle catarifrangenti, che la rendono ideale per qualsiasi cantiere. E poi ci sono io, con la divisa del Man City del
2007, neopromosso, pre-sceicchi, e la fortuna che in quel negozio di Galway non
avevano potuto mettermi il numero di Rolando Bianchi.
Rispetto a quando giocavo in Irlanda, il concetto è
completamente diverso. Là contava correre, al massimo le ali lanciavano un
cross al centro, ma comunque le ali erano sempre gente etnica come me. I Sean e i
Brian di turno tiravano in porta anche dalla difesa. Qui invece prima di cominciare
si discute come mettersi giù e se giocare a uomo o a zona. Non so esattamente
come si dica centrocampista di contenimento in francese, ma sembrano capire
quando gli dico che gioco come Gattuso. Anche se sono alto due volte tanto il
vecchio Ringhio e infinitamente più biondo. Segno addirittura il 2-1 per noi, cosa
che Ringhio forse mi invidierà. A fine partita c’è una birra per tutti, e non è
neanche la temuta Kro(nenbourg).
Con la bottiglia in mano sono nel mio ambiente naturale e d’un
tratto capisco cosa rispondere al prossimo che mi dice “Calcio? Troppi
miliardi. Io solo rudbì”: mon vieux, la partita di calcio è l’unico posto dove vedi tutte
le etnie dell’Autoproclamata stare insieme. Ci sarebbero anche i centri
commerciali, ma là si sta insieme senza scambi. Al campetto invece, c’è anche
chi ha portato la Cocacola per quelli che si astengono in nome del Profeta.
*Notare che nell'ultimo mondiale di pallamano (in Qatar), il Qatar è arrivato in finale. A proposito di miliardi.