sabato 26 aprile 2014

Io e la Spagna

Una delle cose che più mi sono piaciute in Spagna, è che nei cessi pubblici la gente piscia per terra.

Perché dopo tutti sti mesi a confrontarmi coi francesi, uno comincia a pensare che noi italiani siamo i peggio. Invece no, per terra ci pisciano anche altri. E non solo quello: è stato quasi con riconoscenza che ho deliberatamente schiacciato quella povera señora contro la prima fila di sedili dell'autobus, mentre cercava di salire prima che tutti fossimo scesi. Allora vuol dire che forse sì, siamo i peggio*. Ma a pari merito!

Non credo di essere una persona invidiosa. Di solito se capita qualcosa di bello a un amico sono contento e se no c'è sempre Virgilio, il mio fedele senso di colpa, che mi rimette subito sulla retta via. Eppure da quando sono qui in Francia invidio l'efficienza e il senso sociale degli autoctoni. Tutto questo nonostante io qui ci abiti e sia il primo a trarre vantaggio da file ordinate senza lo stress di infilarsi e macchine che si fermano per farmi passare alle strisce pedonali.

In realtà in Spagna non c'è solo piscio sui pavimenti. Per cominciare, a Siviglia ci sono 37 gradi in aprile, parchi verdi, palazzi che portano la mente ad Allah, l'Archivio delle Indie, un museo ricavato in una piastrelleria ricavata in un monastero, processioni del Ku Klux Klan però senza razzismo e cene a euro 12, bevande incluse e diviso due.

C'è un paesino che prende il nome da un centrocampista dell'Atalanta, che è fatto tutto di casette bianche montate su una collina. Una pace. Ci giri, ti ci perdi e non c'è neanche un negozio di magneti da frigo e cartoline. Questo a differenza del paese natio, ma qui invidia zero. Solo gratitudine perché ci sono ancora posti belli senza ottimizzazione dei ricavi. Anche se significa perdere la posizione a pari merito.



* Tutto questo per iperbole: il concetto di nascita per il pareggio esclude qualsiasi tipo di classificazione gerarchica.

domenica 6 aprile 2014

Il sottopelle



La Musica di Merda esiste. Ma non è questo il problema. Il problema è che di musica buona ce n’è troppa. Ce n’è talmente tanta che non ce la farai mai ad ascoltarla tutta.

Così alla fine sono i fattori personali che ti fanno scremare fra i dischi che ti entrano sottopelle e quelli che non riuscirai mai a onorare con la quantità di ascolti che meritano. Perché il sottopelle richiede tempo. E tanti ascolti nei momenti giusti.

Tipo quel CD che avevi in macchina in vacanza e che per pigrizia o inerzia hai ascoltato solo quello per tutta la settimana. Quello è probabile che lo riascolterai sempre volentieri. O quello che mettevate mentre vi ammazzavate di canne e grappini con i tuoi amici, e quello che ti ha regalato quella persona lì, quello che viene bene alla chitarra e quello di quel concerto in quel festival là. 

Con Spotify tutto questo viene meno. C’è troppa roba e non capita mai di ascoltare un disco più di due volte. Finisce che ora conosco centinaia di gruppi, ma sottopelle nisba, ultimo ingresso registrato: la siringa per le analisi del sangue. Era il 2013

È che c’è troppa musica buona per non essere poligami. Però alla fine se ti fai una diversa ogni sera, dopo un po’ mi cadi in alienazione.