sabato 25 gennaio 2014

Prosopagnosi


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Confesso di essere un uomo malato. Non so perché non ne ho mai parlato prima, ma la mia malattia si chiama prosopagnosi (anzi, prosopagnosia, a quanto pare). Lo ho scoperto da poco, sfogliando un vecchio Venerdì di Repubblica.


Non è una malattia grave, ma è cronica: niente chemio, ma in compenso grandi rotture di balle.


In pratica il succo è che tu vedi una persona e ti imprimi in mente la sua faccia, poi la rivedi il giorno dopo e non riesci a riconoscerla.


Mi è capitato all’università di puntare una tipa tutta la sera e di non riconoscerla la sera successiva. Vabbè, nulla di nuovo, ma a me è capitato anche da sobrio. È successo anche l’ultima volta che ho visto Sorellina Giugiù, che deve essersela legata al dito, tanto è vero che ora tutto il ramo della famiglia dotato di R moscia lo sa. In pratica ero seduto al tavolo di un bistrò di Parì e non sapevo che attendevamo visite. Così quando lì per lì ti arriva Giulì, finché quella non si qualifica io rimango interdetto.


Aveva cambiato pettinatura. Fondamentale. Perché uno per rimediare alla prosopagnosi si basa sui vestiti e sui capelli. Forse anche la bocca, credo. Comunque, quello che è certo è che ho una grande memoria per il guardaroba della gente.


La prosopagnosi si rispecchia anche sui miei gusti in fatto di donne. Guardo i capelli e il sorriso, e che ci sia una particolarità, o anche un difetto affascinante che rende unico il profilo. Mai piaciute, a me, le modelle. Almeno di faccia. In compenso però sono in grado di disinnamorarmi di una partner che incontra un parrucchiere maldestro. È capitato, porella.


Da poco mi sono reso conto che la prosopagnosi è il motivo per cui mi sento un pesce fuor d’acqua nel mio piccolo mondo natìo.


È che con mille abitanti si presume che tu conosca tutti. Per voi cittadini specifico che non è un’iperbole. Tutti. O almeno tutti i nativi, che gli immigrati vanno e vengono. Infatti in paese gioco sul sicuro, seguo la legge del Tu saluta tutti. Ma quando giro per bar la sera non so mai in onore di chi alzare la mano e distendere il sorriso. Mi capita spesso di parlare con qualcuno per ore senza sapere chi è. Mi è stato addirittura riferito che in giro per la Valle c’è chi mi dà dell’altezzoso, perché me ne sono andato e ora faccio il zittadino e non saluto più. Chissà chi mi credo di essere.


Invece io chi sono lo so piuttosto bene, è con gli altri che faccio fatica. E starmene in un posto pieno di gente che non conosco mi rilassa oltremodo.

lunedì 6 gennaio 2014

Franza o Spagna, purché se magna.



Alla fine puoi dire quello che vuoi, ma in Europa siamo tutti più simili di quanto ci piaccia credere. Ma se c'è una cosa che ci rende un po' più diversi, quella cosa è come mangiamo. Non tanto cosa mangiamo, ma come: che la pasta c’è ovunque, ma al riparo delle Alpi nessuno la mangia col ketchup.
Lo pensavo già da un po’, ma dopo un intero ciclo di festività qui fra i cugini perfettini, mi sento in dovere di confermare. Perché appunto, anche loro come noi sono piuttosto gastrocentrici, ma lo sono in un modo molto diverso dal nostro.

Per dire, noi siamo tutta gente alla buona, ci piace rimpinzarci alla Trattoria Da Marionzo, a base di qualsiasi combinazione – purché sostanziosa – di pasta e carne. Per noi alla fine il cibo sì, ha da essere buono, ma quello che importa veramente della magnata è la conversazione. Il nostro intero apparato politico è costruito apposta per darci da discutere da Marionzo, commentando dichiarazioni e lanciando coraggiose provocazioni. Perché noi siamo gente che parla come mangia. Semplice e tanto.

Ecco, loro no. Per loro il cibo va bene quando è sofisticato. Cremine di erbette, pastine di animelle, tutte robine speciali speciali, delicatezze (questa è la parola testuale che usa Lilù) fatte con parti sottovalutate di animali che godono scarsa considerazione. Diceva una mia amica che ha studiato come si magna, che da noi la tradizione culinaria nasce in campagna, mentre da loro ha origine nelle corti. In effetti, me lo conferma anche il fatto che qui pare che tutti prima o poi siano stati in un ristorante macrobiotico. Si è mai visto un ristorante macrobiotico dalle nostre parti?

E poi qui il massimo livello di sofisticatezza, il tocco che ti fa veramente apparire come la persona raffinata che sai di essere, è mescolare dolce e salato. Al cenone di Capodanno, ho visto stuzzicadenti conficcati contemporaneamente in una fettina di chorizo e in un acino d’uva. Ho provato l’esperienza, perché il mio Buon Proposito per l’Anno Nuovo n° 2 è di non essere prevenuto, ma l’abbinamento faceva onestamente schifo. In onor del vero va però detto che allo stesso cenone, la combinazione dolce-salata numero due: “prugne secche avvolte nel bacon” era squisita.

La cosa alla quale non riuscirò mai ad adattarmi però è l’aperitivo. Non un aperitivo che diventa cena come nei più prestigiosi circoli nostrani, ma un aperitivo che svolge la sua funzione letterale di aprire, che introduce portate ben più ambiziose. Qui l’aperitivo è quel momento speciale che ti consente davvero di assaporare la qualità della vita, un evento che ha luogo ogni giorno in cui gli orari lavorativi lo consentano - e qui si lavora 35 ore in settimana. Quando hai ospiti in casa, saltare l’aperitivo, beh, non si fa e basta. Il problema è che alla stessa cena di Capodanno siamo arrivati al piatto principale talmente pieni di verrine (un classico delle delicatezze, costituito da un bicchiere con dentro una miniricetta salata), lumache, salmoni, salamini, foie gras e crostacei, che la faraona l’abbiamo appena scalfita. Ecco, non amo l’aperitivo perché nella mia famelicità mi frega sempre.

C’è da dire anche che la faraona era fredda. L’ho visto io Lolò, che la toglieva dal forno e la lasciava riposare. E mi chiedevo io: che cosa aspetta? Di finire l’antipasto, impresa chiaramente impossibile? Intanto gli altri temporeggiavano, complici. Perché a loro la carne fredda piace un sacco. Già non la cuociono, che rimane sempre cruda all'interno, cosa quantomai apprezzabile per un bel bisteccone, ma piuttosto indigesta in una salsiccia del supermercato. Non solo la mangiano cruda, ma anche fredda. Gli piace così, e non gli chiedo perché, perché mi risponderebbero che lo fanno perché si fa così e basta, che domande. Un po' la stessa risposta che darei io se mi chiedessero perché da noi mangiamo la carne così orribilmente calda.

Intanto, se qualcuno si chiedesse qual è il mio Buon Proposito per l’Anno Nuovo n° 1, risponderei con un caselliano non giudicare. Il che implica peraltro che non dovrei valutare le loro usanze culinarie, o almeno rispettarle. 
Poi ripenso ancora a lei, la Pizza Parmigiana di Tutti Pizza: pomodoro mozzarella miele pera prosciutto noci gorgonzola parmigiano. Lilù una volta l’ha ordinata. E per vendetta io giudico, eccome che giudico.