domenica 24 luglio 2011

Ottovolante

In pratica dovrebbe funzionare così, semplice semplice. Tu invece di basarti solo sulla Lonely Planet, cerchi di parlarne con chi abita qui. Vanno bene cassieri e bariste, tassisti e gente che aspetta l’autobus. Tutti, anche i vecchietti in coda alla posta. Funziona che tu chiedi e loro, che per definizione sono informati dei fatti, sono felici di dirti cosa mangiare e dove andare.

Facile no? E infatti non è che funzioni proprio sempre sempre. Perché qui in Asia hanno una mentalità un po' diversa. Perché noi europei siamo un po' musoni, diffidiamo delle cose, facciamo tutti i nostri distinguo, cerchiamo di non farci fregare. Loro invece di solito accettano quello che gli viene proposto. Così se a Singapore prendono un'isola e ci costruiscono sopra un parco giochi talmente pacchiano che da lontano riconosci le mura del castello finto, un parco giochi - attenzione - per tutti, mica per bambini, se ti dicono che quel parco giochi è un posto dove devi andare per forza, cascassero anche le mura del castello di cemento, allora tu singaporegno medio capisci quanto importante sia frequentarla, quell'isola.
E allora quando si parla con i locali, quando si scambiano quelle due parole mentre loro ti spappolano un mango nel bicchiere, loro non capiscono che tu al parco di Sentosa non solo non ci sei stato, ma non ci vuoi neanche andare. E sembra che tu sia l'unico al mondo. Come fa a non piacerti l'ottovolante? Loro, questa cosa che tu turista non vuoi sorbirti solo le cose per turisti non sempre la capiscono. E allora tu continua a fare il bastian contrari (ergo), turista. Eccentrico, come quei lordi inglesi che popolavano la banchina un centinaio d'anni orsono.

*Poi uno passa l'ultima serata a Singapore con tre autoctoni, che si dilungano in discorsi su quanto sia triste il parco di Sentosa. Ed è una bella lezione sulle generalizzazioni.


-Occhio che l'ho modificato il 2 agosto, che i paragrafi erano andati sottosopra-

sabato 16 luglio 2011

Temerari

Noto come sia facile cucire storie d’eroismo attorno alla figura di chi parte con zaino e sacco a pelo per tornare un giorno magari.

Ecco, a parte che il sacco a pelo non lo prende nessuno, perché qui paghi 8 euro a notte per una doppia. A parte quello, ditemi una cosa che vi pare eroica e ve la demolirò.

Del cibo se n’è già parlato. Nel frattempo qui abbiamo preso tutti e due un virus gastrointestinale, ma una volta in tre settimane è una media da fare invidia a chi fa i corsi di inglese in Irlanda.
La scomodità invece c’è davvero, ma sempre con la prospettiva che basta allungare dieci euro in più e hai in mano la soluzione ad ogni guaio. Di solito la prospettiva basta, e per il resto ci si abitua alla grande.
E dove li trovo quei dieci euro? Quello dei costi del viaggio è un altro mito: un mese in giro per la Malesia costa come per un mese d’affitto ad Amsterdam. I soldi per viaggiare li trovi vivendo un anno senza macchina, o senza fumare.
La solitudine, se c’è è autoindotta. Nel senso che se in Interrail nel 1998 gli ostelli erano pieni di gente con cui fare due chiacchiere, ora invece le sale comuni hanno il Wi-Fi e sono illuminate della luce di decine di schermi, di solito una luce bianca e blu come le schermate di Facebook. In pratica non è solitudine, ma contatto ristretto a gente che sta da un’altra parte del mondo.

Ecco, se c’è una cosa veramente difficile, in questa condizione peregrina, è procurarsi un regalo di compleanno per la persona con la quale condividi ogni secondo del giorno e della notte.