giovedì 30 dicembre 2010

Come scroccai cibo e altre bevande in nome dello scambio d'opinioni (bilogia degli incontri, parte 2)

Sto bugigattolo qui, è lecito chiedersi che senso abbia.

Diciamo che volevo vedere chi ci arrivava, quassù. Mi piaceva l'idea che uno capitasse per caso e decidesse di tornare, nonostante la lunghezza degli interventi e alcuni passaggi spiegati un po' così.

Avessi saputo subito che dopo tre anni avrei avuto tre collegamenti al giorno, forse avrei smesso.

Ora invece non ho intenzione di farlo, perché da quei tre collegamenti ho guadagnato tantissimo. Al di là dei semplici rapporti umani, parlo di roba concreta: diverse birre fra Amsterdam e Utrecht, spaghetti allo scoglio sul lungadige di Trento e una cioccolata calda in un McDonald's di Milano, nonché diversi biscottini natalizi veramente deliziosi (ma i cantucci erano un po' duri). Come un frate francescano, che riceve in natura un compenso per la sua attività spirituale.

Insomma, anche senza attivare le inserzioni pubblicitarie, aprire un bugigattolo elettronico porta soldi, vantaggi e forse perfino i favori delle divinità di fiducia.

Lui è stato il primo che ho incontrato. Ho preso un treno per Utrecht un giorno che deve essere stato in un’altra dimensione, perché ricordo che era talmente caldo che siamo finiti in un parco. Si parlava dell'Olanda, degli olandesi, della vita in posti dove le nazionali di calcio hanno un colore diverso dal nostro. S’è corso dietro ad anatre mancando la presa sempre all'ultimo secondo. Poi più avanti s’è bevuta dell'altra birra e parlato di scrivere, leggere e delle cose che stanno care a noi giovani. Abbiamo girato un filmino tuttora inedito e organizzato uscite con amici che hanno poi lasciato il paese e con ragazze che invece hanno lasciato noi.

E questa è una storia storica, che va avanti da un pezzo. Le altre due persone che ho conosciuto via bugigattolo, invece, le ho incontrate durante queste vacanze invernali.

A Trento sono stato a casa di Claudia. Claudia è arrivata sul bugigattolo perché in comune avevamo un partner tedesco di cui parlare. Abbiamo scambiato lunghe email sul Trentino e sulla Germania, ma anche su parecchie altre cose, perché lei è una che va nel profondo in quello che fa. S'è magnato bene come sembra logico attendersi da una che scrive qui e ci si è intrattenuti anche con Anna, la sua bambina dalla R crucca, ansiosa in attesa per la recita scolastica. Data la generosità di quest’ultima, al bottino va aggiunta una caramella mou e il 16 dicembre del calendario dell'avvento della Milka.

Aria invece si era offerta di ospitarmi a casa sua la sera in cui rientravo in Italia, ma la cosa non ha funzionato, perché l'aereo era troppo in ritardo e le strade intasate per la gioia dei tiggì. Però poi ci siamo messi d’impegno, anche in nome del nostro fitto e-pistolario di corrispondenza via Gmail, e siamo riusciti a trovarci al ritorno, il 26 dicembre, in una Milano molto poco da bere, dove l’unico posto aperto era il McDò.

Il bello è che in tutti e tre i casi, quando ci si è trovati, s’è parlato da subito con scioltezza, come se ci si conoscesse già da un pezzo. Probabilmente, chi parla della falsità dei rapporti creati via internet dovrebbe prendere qualche corso d’aggiornamento.

Chi invece si sentisse solo e insicuro del suo aspetto esteriore, sappia che buttar giù parole in forma pubblica è un’ottima alternativa ad MSN, nonché un modo per pompare il numero dei contatti su Facebook e forse addirittura, con un po’ di culo, di risparmiare la retta di Meetic. Ma questo lo lascio alla volontà del singolo. A dire il vero a me piaceva l’idea di segnarmi da qualche parte le cose che penso, per tenere il conto.

martedì 28 dicembre 2010

Come scroccai bevande in nome dell'amicizia (bilogia degli incontri, parte 1)

La ragione per tornare a casa il meno possibile è che quando lo faccio incontro tutti i miei amici. È meglio aspettare, tenere in fresca l'occasione, così quando succede è festa grande. Tanto per gli interstizi c'è Facebook.
Poi quando finalmente è tempo, posso rimbalzare da un bar all'altro a bere birre, sprizzi e spume con gli amici del liceo e i compagni di canne passate (molto passate), tutti con la battutina sul fatto che abito ad Amsterdam e io che cerco di spiegargli che la legalità smacchia di piacere anche gli sporchi più impossibili.

Purtroppo c'è sempre chi non si riesce ad incontrare e stavolta è toccato alla Fabry, colei che fra innumerevoli malpagati meriti in campo artistico vanta (?) quello di avermi introdotto prima acusticamente e poi fisicamente ai Sonic Youth. La sera del 25 era a due chilometri da casa mia, ma non sono riuscito a raggiungerla perché 1) i chilometri erano in linea d'aria e quando c'è una valle di mezzo non è veramente la stessa cosa e 2) venivo dal far la spola fra i due versanti della famiglia, operazione ostacolata peraltro da quattrocento euro in uva liquefatta, per fortuna spesi da mio cugino. Lo spirito è: pazienza, ci si rivede fra qualche mese. Nel frattempo mi piaceranno diversi dei tuoi link, e vediamo di battere due righe sul riquadro bianco di Gmail.

Invece come di consuetudine ho incrociato il Daniele, che dopo il liceo ha acquisito il privilegio di essere definito per nome e non per cognome, avanzando in una posizione di prominenza fra i diversi danieli della mia rubrica telefonica. Non ha Facebook, non ci sentiamo per email, e anche per questo ci si trova con costanza dal vivo. Stavolta mi ha premiato con un prezioso resoconto su come si è fatto fregare a Pechino. Volontariamente, per vedere l'effetto che fa, sperimentando con azioni e reazioni. E ci ho pure guadagnato una copia di Howl del vecchio Allen, che ha comprato per me e solo me - lacrimuccia - alla City Lights di San Francesco. Capirai che scambiato con una cioccolata calda e una cedrata ho fatto un affarone.

E poi ho incontrato lui, compagno di ricreazione liceale nonché di un importante Bildungsroman, ora assurto al ruolo di dolo-mito di tutti i giovani figli di Dioniso e di genitori chiamati Pero e Bepina. Con lui è anche un po' come bere una tazza con un cantante che ti piace e parlare delle sue canzoni, o un'altra con un Hundertwasser vivo e chiedergli delle sue pitture. Abbiamo tracciato parallelismi su come ci siamo trovati morose del posto più cagone d'Italia (lui) e d'Europa (io) e i due brulé li ha pagati lui, mi pare.

E poi ci sono gli amici che ti arrivano preinstallati, come la scheda da dieci euro nei telefonini, o Windows sul computer nuovo. Frequentavate lo stesso locale, l'asilo delle canossiane, fin dai tempi in cui lo stile in voga era tutina e ciuccio. Il Walter lavora in banca, il Simone fa il commerciale estero e il Franz è il tecnico informatico di una scuola superiore ed è quello che guadagna meglio. Si parla di calcio (nell'ordine Milan, Inter, Juve), donne (zero, Bielorussia, paese a fianco) e lavoro. Si fa la conta di morti, malati, impalmati e impregnate, chi è sparito dalla scena perché ha trovato la morosa, chi costruisce casa e chi versa in condizioni critiche per colpa degli spiriti. Stavolta pago io, tranne col Franz, che si sente generoso.

mercoledì 22 dicembre 2010

Masse umane in circostanze critiche

Ci sono elementi di psicologia, statistica, sociologia, perfino letteratura nello studio di masse umane in circostanze critiche.

Anche per questo, il fatto che gli aerei che prendo siano sempre in ritardo non mi dispiace più di tanto.

In circostanze inattese, gli sconosciuti diventano persone. Sono albi da colorare con pennarelli che ti danno in mano loro stessi. Come entrare in una libreria e leggere qualche pagina da ogni libro.

Metti un giorno, sotto la neve, in stazione Centraal, scoprire come arrivare all’aeroporto. Una coppia di italiani impauriti, felici di essere aiutati da un paisà che chieda per loro informazioni in inglese. In cambio ci guadagno storie su come gli italiani vanno in ferie, come si spostano, cosa vedono, cosa trovano e cosa cercavano. A volte impari qualcosa, stavolta va bene lo stesso, almeno hai conferma di cose che già pensavi. E questa è la statistica.

Si comincia sempre chiedendo informazioni. “Scusate, ci han detto che se il nostro volo è cancellato, basta che ci mettiamo in coda al gate di un altro volo. È vero?”

Chiaramente non è vero, ma scopri che dicendo così, allo sportello hanno accorciato di molto le file. Ora tutti quelli che hanno sentito questa versione si scambiano informazioni. E poi, quando si constata che l’unica cosa da fare è aspettare e sperare, le informazioni diventano storie, letteratura orale. Uno che prima era un compunto signore con i vestiti appena stropicciati diventa un ingegnere che viene da tre settimane in Cazachistan. Mi racconta della vita degli ingegneri in Cazachistan, cosa c’è da fare ad Almaty e di come sia sempre meglio là che nei paesi arabi, dove non si può bere, non le donne sono vietate e soprattutto il cibo fa schifo. In cambio gli racconto un paio di storie uzbeche, così magari ci può andare anche lui fra due settimane, a fare un giro.

E mentre ci schiacciamo per passare al gate, una ragazza davanti a me, accento romano alla bocca, passaporto peruviano in mano, ci informa che i venti cinesi che spingono da dietro non hanno il biglietto, ma insistono per passare, ed è per quello che non riusciamo a salire sull’aereo. “Come lo sai?” “Lo ha detto la hostess là davanti”. Per un attimo tutti ci credono, spingono i cinesi con spallate che accigliano di sorpresa e incomprensione diversi occhi a mandorla. Poi si scopre che lo hanno, il biglietto: lo tengono in mano, piegato bene, insieme al passaporto giapponese. Dopo poco, l’ostilità di tutti verso i cinesi si placa e la romana de Lima viene zittita dal silenzio.

C’è un ragazzo con un sorriso simpatico che invita al dialogo. Lavora alla FIAT. “Ma allora non è vero che in Italia i giovani non hanno speranza?” Torna dalla Cina, dove i torinesi stanno costruendo una macchina a basso costo, da vendere solo là e in America latina. Si parla di italiani e stranieri, modi di lavorare nel mondo. Lui ci mette Italia e Cina, io Olanda e Irlanda.

Poi, quando ci comunicano che il carrello è gelato e devono trovare un modo per sciogliere il ghiaccio, entrano in scena i tecnici. Ci sono quelli del “Non è possibile in un paese civile”, che per una volta non è l’Italia, i fatalisti (“Meglio che congeli qui che in volo”), gli scettici (“Ma in volo l’aereo non gelerebbe comunque?”) Mi impressiona come in Italia oggidì ci siano così tanti esperti.

Dopo il volo e una notte che dura tre ore, sul pavimento in radica plastificata di un bar della Malpensa, salgo in treno e incontro un gruppo formatosi in un’altra situazione imprevista, dopo che un treno delle ferrovie austriache, prenotato in anticipo, si è fermato ed è ripartito senza aprire le porte.

Due circostanze d’emergenza si attraggono ed entro a far parte di questo gruppo già affiatato. C’è un ragazzo che ha l’aria del promettente neolaureato, ma fa l’operaio (morale: “non giudicare le persone dall’esteriorità, parte n”), due ragazze che ci raccontano del matrimonio di una di loro (spunto: “evitare il matrimonio”), un distinto signore dalla capigliatura a nuvola, che solo all’altezza di Rovereto scopriremo essere greco (esperienza: “c’è chi parla le lingue meglio di te”), accorgendoci che quello che per ore avevamo presunto essere un manager giusto un po’ scapigliato, è solamente diretto al matrimonio del cugino e si sente in imbarazzo nel vestito delle feste (“non giudicare le persone dall’esteriorità, parte n+1”).

Alla fine la protesi musicale nuova rimane silente in una tasca del giaccone, e il segnalibro dentro Eggers non si sposta di una pagina. Per loro ci sarà tempo al ritorno, sperando per una volta in un viaggio piacevolmente noioso.

giovedì 16 dicembre 2010

Out on the weekend

Qui al grigio capita a volte di diventare meteoropatici per terrore del meteo. Così, preventivamente, si soffre il grigio pensando a quanto lo si soffrirà quando sarà ancora più grigio.
A volte si esce quasi di senno, anche e a maggior ragione se si è gente pratica, che cerca di prevenire i problemi prima che si manifestino. D'altra parte, tent'anni di pubblicità che dice che prevenire è meglio di curare non possono non aver avuto effetto.
Così una persona pratica come Lilù può decidere di combattere la depressione invernale concedendosi qualche giretto qua e là nel fine settimana.
Le idee sono diverse: Edimburgo va vista nei crepuscoli autinnali e Vienna con la neve e il brulé, poi la Scandinavia al freddo, ma prima che diventi troppo freddo. Tutte cose da fare subito e siccome Lilù non concede vie di mezzo, decide di farle non solo subito, ma anche tutte. A me la cosa non dispiace e mi aggrego subito, imbavagliando la coscienza per non pensarci neanche per un secondo.
Così da qualche settimana si parte. Il venerdì l'aereo è un'ottima scusa per lasciare il lavoro dopo solo 8 ore e mezza e prendere l'autobus 300, che in venti minuti porta dai mulini delle campagne di Chiesavecchia sull'Amstel ad uno dei più grandi aeroporti d'Europa. Si fa il check-in, si parte e si torna la domenica notte o, quando se ne ha il coraggio, il lunedì mattina, direttamente dall'aeroporto all'ufficio.
In cambio si ottiene una finestra lunga due giorni sulla vita di una città. Si scopre come viaggiare dall'aeroporto al centro, come funzionano i mezzi pubblici, quale piazza è considerata il Centro, dove sono i negozi, i musei, i palazzi. Si prova la birra locale.
In due giorni ci si fa un'idea di massima, si può dire "ci sono stato" e colorare il quadratino sull'apposita applicazione di Facebook.
In due giorni hai un quadro con un tema cromatico, come una - ma solo una, massimo due - delle cattedrali di Rouen di Monet, o delle Marylin di Warhol, per rendere l'idea.
Ad Edimburgo abbiamo preso più acqua di una formica sotto uno stenditoio. E la lavatrice deve essere stata piena di golf neri, a giudicare dal colore del cielo. Edimburgo me la ricordo a china, con ombreggiature a carboncino, tirate dal vento. Invece a Vienna c'era una neve che rendeva i contorni appena schizzati da una matita a mina HB. E Bruges è un acquerello ancora umido.
Solo a Valencia abbiamo trovato il sole giallo primario della tempera di un ragazzino delle medie, ma era maggio. E questo rende l'idea di quanto poco bene facciano questi fine settimana invernali a chi è meteoropatico.
Domenica, nel treno di ritorno dall'aeroporto, Lilù me lo ha confessato: forse i fine settimana in trasferta conviene farli d'estate. E io non ho potuto non pensare al nostro capodanno, già programmato nel cuore bianco della Svezia, con la notte che cala alle due e mezza e temperature da pubblicità della vodka.

martedì 14 dicembre 2010

Il post su Berlusconi

Mi sono trattenuto per anni, ma forse è giunta l'ora di scriverlo, il post su Berlusconi.


Svolgimento

Agli italiani piacciono i politici che fanno casino. Se uno non fa casino, gli italiani dicono che è un'ameba, che fa addormentare. Dicono che non sa parlare. Come se fosse sinonimo di non sa fare.

Agli italiani piace Berlusconi perché ne combina un sacco e una sporta. Se agli italiani piace Berlusconi, teniamoci Berlusconi. Come posso io da solo esser sicuro che gli italiani non abbiano ragione?*



*Questo intervento non tiene conto dell'eventualità che Berlusconi possa essere al potere per motivi terzi rispetto al piacere agli italiani.

domenica 12 dicembre 2010

Angioletti dell'inferno


Stefan è incazzato nero.

Smonto dalla bicicletta nell’angolo d’ombra davanti alla porta del deposito e in una torsione di spina dorsale ho addosso lui: alto, coda di cavallo appena ingrigita e giubbotto nero di pelle.

“Non hai pagato”, dichiara col suo accento da dobermann.

“No, aspetta, ti spiego”, gli rispondo.

“Non si fa”. A scuola devono avergli insegnato che ci sono solo cose che si fanno e cose che non si fanno. Il resto è roba per gente che abita dove si va in ferie.

“Pago ora”.

“Entra”, non in conseguenza di quanto da me detto, ma come ordine inderogabile.

È proprio nel Ciclopirata, il suo negozio di biciclette, che ho scoperto tutto su Stefan. La sua vita è in esposizione. Che sia tedesco lo capisci da come parla olandese, che con quell'accento ci vuole un po’ a capire quale delle due lingue stia parlando. Precisamente di Bochum, lo dice la targa tedesca con scritto BO appesa al muro. È un motociclista: la targa è quadrata, spezzata su due righe, ma queste informazioni si capiscono anche dalla giacca di pelle con "Hell's Angels - Germany" distesa in una cornice sopra la cassa. È un duro, Stefan, uno di quei tedeschi patti chiari e amicizia lunga, che credono nella lealtà prima di tutto, nel rispetto della persona e dei (loro) codici etici.

Non pagare l’affitto del deposito per la tua bicicletta a lungo raggio non è proprio sleale, non viola apertamente i codici etici, ma scalfisce leggermente la rispettabilità della persona. L'unico modo di mondarsi da tale colpa è sottostare al suo discorso incazzoso, senza replicare.

Io replico. Replico in olandese, perché Stefan non mi concede di parlargli tedesco: anche se ha capito da mesi che sarebbe più facile anche per me, non c'è nulla di più tedesco del ripudiare la propria lingua. Replico che lavoro a Chiesavecchia sull’Amstel, parto la mattina alle 8 e torno la sera alle 8 e a quelle ore il negozio è sempre chiuso, e il fine settimana scorso ero via.

Ribatte nel suo olandese con accento tedesco al mio olandese con termini tedeschi. È incazzato, ma si sente che lo fa solo per la reputazione. Sotto sotto preferirebbe chiudere qui e andare a casa a guardarsi un film di Russ Meyer. Allora mi intenerisco e rinforzo le scuse.

"Lavori da Ron Blauw?” mi fa dopo un paio di scuse. Deduco che parli del più famoso ristorante della regione di Amsterdam, l’unico punto di fama del borgo di Chiesavecchia. “No, guarda, magari: in uno studio di traduzioni americano. Ci fanno fare un culo così”. Una smorfia di connivenza fra le basette appuntite e so che siamo amici.

Non so perché, ma i cattivi buoni mi fanno una grande simpatia. Striscio il bancomat, premo 3 – 7 – 2 – 6, ho la coscienza a posto e un nuovo amico pronto a difendermi in caso di rissa.

Danke Stefan. Tschüss!


Che dici, che il codice del bancomat sia vero?
Si
No
Sono uno di quelli che rispondono "non so" ai sondaggi
  
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mercoledì 8 dicembre 2010

Il film più banale del mondo

Ieri ho visto il film più banale del mondo e ne sono felice, perché quando vedi un film così banale, sai di aver scoperto la banalità allo stato puro e vuoi correre in strada e raccontarlo a tutti. Come quando si è innamorati.

E ho addosso una voglia matta di parlarne, di descrivere tutte queste scene così banali che ti sembra impossibile che nessuno, durante le riprese, durante il montaggio, abbia notato quanto sono banali.
C'è una storia di fantascienza, ma anche no. C'è una storia d'amore, anzi, ne ho contate almeno tre per il protagonista, più quella dei suoi genitori che divorziano e quella della madre con l'amante. Uno dovrebbe riguardarlo, sto film, con un'agenda per segnarsi quante volte i personaggi dicono "I love you".
È un film per ragazze adolescenti, si capisce a questo punto qui:

Lui: "I love you"
Let: "Forever?"
Lui: [Pausa] "Forever"

Il Forever viene ripetuto ad un ritmo da Smemoranda.
Urge a questo punto stabilire l'età esatta delle adolescenti alle quali il film si rivolge. La risposta arriva nel tempo di dire "t'amo". In pratica il tipo e una delle tipe si lasciano per cause di forza maggiore quando hanno 15 anni e si ritrovano nel futuro. Lei gli dice che lo aspettava da vent' anni, lui pure. Forever. In vent'anni nessuno dei due aveva tratto piacere dalle carni di alcun altro. Le quindicenni sono quindi evidentemente il target (che dire obiettivo fa scialbo), con la palese intenzione di confermare che l'I love you forever scritto sui loro diari è possibile, probabile, e non la cazzata che in fondo sanno essere. E io che pensavo che a quindici anni le ragazze avessero già superato la fase I-love-you-forever per quella Che-Guevara-è-troppo-un-mito.

E poi è giusto strizzare l’occhio anche all’adolescente maschio, che guarda il film con la ragazza forever alla quale fra una settimana non sentirà neanche il bisogno di palpare il culo. Un modo sicuro per strizzarlo, sto occhio, è la fantascienza: scenari futuribili ricostruiti seguendo i più consolidati canoni di centodieci anni di cinema. Ibernazione, immortalità, stanzoni bianchi e gente con delle placche ossee sulla fronte. E nel futuro ci si darà ai piaceri artificiali e si dimenticerà co’è l'amore. E poi ci sono un sacco di teorie da fumetto Marvel: scopri che anche una farfalla che sbatte le ali può portare una montagna di sfighe, che il fumo di una sigaretta è un segno che l'universo si espande, ma che c'è anche una teoria che dice che un giorno si restringerà, c'è un sogno dentro un sogno, il fatto che se ci credi si avvererà, la difficoltà di fare scelte con tanto di illustrazione delle conseguenze di entrambe le opzioni possibili, uno che fa testa o croce per decidere il futuro: Start Trek, Sliding Doors, 3MSC.

C'è una coppia che litiga sempre, e poi fanno la pace, una volta per tutte. Finalmente hanno trovato la chiave della mutua comprensione. Sono in macchina e si baciano e in quella l'autobotte davanti a loro esplode. Questo è il punto in cui scoppio a ridere. Il punto in cui sorrido, mi rassereno e vorrei uscire in strada a gridare in olandese che ho visto il film più banale del mondo forever.