martedì 22 luglio 2008

Sa ghe? Sigur Rós!


Seguros! Verso il duemila avevo sentito parlare di un nuovo gruppo con un nome così o simile.
Al tempo schifavo qualsiasi cosa suonasse latino come una zanzara di città può schifare il sangue coriaceo di un pastore sardo. Preferivo la musica nordica, stereotipicamente meno caliente, ma più profonda e Seguros mi suonava come lo ska artificiale più edulcorato.
Poi un giorno scopro che il gruppo in realtà si chiama Sigur Rós ed è islandese e decido di porre l’orecchio, giusto perché sono islandesi e non sono Björk, anche se la copertina del disco mi dà una spiacevole sensazione di becero metallo.

Il disco, che è poi l’ormai celeberrimo secondogenito Ágætis byrjun, non mi dice niente, se non "coraggioso". Siccome i coraggiosi, quando non sono in qualche film americano, mi stanno simpatici, concedo al disco qualche altro ascolto. Il risultato è un deciso boh.
Però pensandoci bene, il fatto che scrivano in islandese, oltre che coraggioso è anche molto figo. Allora mi scarico i testi, con traduzione, che non sono per niente malaccio, per quanto un po’ criptici. Ma almeno non sono metal. Così, visti i testi, non il fatto di non essere metal, a distanza di tre anni, quando ormai il terzo album è in uscita, concedo al mio bel disco un altro ascolto.
Stavolta il contatto funziona. Mi innamoro di Flugufrelsarinn, pochi accordi tradizionalissimi, ma un suono mai sentito prima. E poi come si fa a parlare di accordi?
Li vedo dal vivo, alle tre di notte di un concerto che avrebbe dovuto iniziare un’ora prima, al secondo giorno di un festival impegnativo. L’audio fa schifo, io quasi collasso di stanchezza, ma il contatto non fa che saldarsi. Dal festival torno cantando la prima strofa di Flugufrelsarinn, che nel frattempo ho imparato a memoria.

Il tempo corre e dopo una notte di particolare rilevanza alla luce degli eventi mi sveglio col cinguettio degli uccelli del primo giorno di primavera. Solo che io e la mia ospite dopo un paio di minuti ci accorgiamo che ok per il primo giorno di primavera, ma gli uccellini sono quelli di Ágætis byrjun, il brano che dà il nome all’album, che era rimasto in ripetizione continua per tutta la notte.
Così mi trovo a girare felice per il centro di una città della provincia del centro destra d’Italia, fischiettando una canzone islandese, mentre le campane della domenica mattina mi fanno realizzare che non sto vivendo la realtà, perché il tutto è troppo cinematografico per essere vero.
Nel frattempo i Sigur Rós escono con altri album, singoli, EP e sbarciccoli vari e io non sempre ho voglia di ascoltare tutto otto volte, così li amo sulla fiducia, nonostante il loro stato di cult, adorati dalle modelle che sanno chi adorare anche senza ascoltarlo. Li amo nonostante il titolo di una loro canzone sia stato deturpato in inglese per Vanilla sky (ovviamente il film, non il gruppo).

Ma l’ultimo disco è diverso. È uscito da poche settimane, l’ho comprato ieri e mi piace già. Forse è stato scritto proprio per concedere alle graziose damigelle dell’apprezzamento aprioristico la possibilità di ascoltarlo, forse sarà che il buon Jónsi con l’età comincia ad apprezzare il ritmo, ma il risultato in alcuni brani, che sembrano essere stati scelti di proposito, è decisamente melodico. Semplice, ma comunque incantevole.
Lo stile è il solito, a tratti, ma suonato in modo leggermente più deciso, con più percussioni e diverse tracce di ritmo. Un album apprezzabile da tutti, non commerciale, ma commerciabile. Un album che probabilmente consegnerà ai Sigur Rós quei quindici minuti di celebrità che il magnanimo Andy Warhol aveva promesso a tutti. Un album che ha appena fatto addormentare il gatto del mio coinquilino e che quindi proprio pop non può essere.

lunedì 21 luglio 2008

forma e sostanza

oggi vorrei parlare di niente. mi son detto, sarà vero che noi italico popolo siamo così bravi a parlare di niente? mi son risposto "boh, vabbè, proviamo".
mi è venuta in mente sta cosa perché al liceo la proffe ci ha insegnato che l'importante è continuare a parlare, farsi vedere galivi e spolverini. on sapere, ma mostrare di sapere.

poi in erasmus in germania, ho notato che da loro esami orali zero e i miei amici crucchi sembrano non gradire i discorsi fini a se stessi che tanto appassionano l'italica genia.
sempre all'università ho constatato come sia più semplice leggere libri di scrittori anglofoni che prodotti nostrani, in quanto le frasi sono semplici e il discorso è fatto per argomentare, non per mostrare che si conosce l'argomento. notate bene, signore e signori, come un professorone italico ci tenga a riempire le sue opere di dotte citazioni, argute ponderazioni filosofiche, paroloni astrusi. l'inglese invece scrive tre parole per frase, fa sommario, controsommario, grafici, disegnini, esempi simpatici, battutine e conclude con un bel riassunto.
ah, ma la classe italiana! vuoi mettere la classe italiana co sti 'gnoranti?
è infatti fondamento dell'italica civiltà la presunzione che la forma venga prima della sostanza.
vi ho sicuramente già raccontato degli italiani di amsterdam, che per i loro incontri hanno imposto il vestito da sera, per mostrare la nostra classe.

è vero, in tutto il mondo si tende inconsciamente a dare alla forma più importanza di quanta ne rivesta in realtà. tutti comprano i cd perché gli piace la copertina, le merendine con la confezione più bella, e chi dice che non è vero probabilmente non se ne accorge neanche.
in italia tutto ciò non avviene inconsciamente, ma di proposito. così quando andiamo a votare scegliamo il politico simpatico, nel negozio compriamo il telefonino figo, anche se vale meno e costa di più.
lo stesso vale quando parliamo, non conta cosa diciamo, ma come.
ma qual'è il motivo di questa tendenza? dall'alto del mio piccolo posso solo teorizzare. che sia perché in italia il bello è tutto ciò che abbiamo? abbiamo arte, architettura, perle della natura, ma che altro? il bello è una scusa per ottenere il massimo facendo il minimo, altra nostra passione.
mah, alla fine partendo da niente ho finito per parlare di qualcosa. e comunque la divagazione è alla base di questo blogghe.
che volete farci, sono italico pur io.

giovedì 17 luglio 2008

La simpatica lingua olandese


La lingua olandese è molto divertente. Affascinante alla vista, vagamente comica ad ascoltarla.
Per uno che in Olanda non ci abita, sentire un po’ di olandese in giro è un privilegio raro. Il cinema e la musica non sono famosi a livello internazionale e tutti parlano inglese, rendendo anche in patria la padronanza della lingua inutile. O almeno così la pensa il mio collega Philippe, un francese che è un orsettone bonario un po' stempiato e che risulta comunque incomprensibile anche quando macchia di transalpinità il suo peraltro eccellente inglese.

Essendo l’olandese ad Amsterdam quasi come l’italiano in Alto Adige, almeno per quanto riguarda la diffusione dell'idioma, il primo contatto con la lingua avviene per via scritta. E a leggerlo, l’olandese appare decisamente intrigante. Per uno abituato alla parsimonia delle ventuno lettere italiche, un tale stillicidio di k, w, j ha l’esoticità di una grappa all'asperula degustata a Paramaribo e fa pensare che per parlare questa lingua sia necessario avere sempre un cracker fresco in bocca.
Se poi aggiungiamo il prodigioso effetto visuale delle doppie vocali, capiamo come l’assenza di accenti e dieresi altro non sia che una misura per preservare le nostre facoltà mentali.
È comunque inutile sforzarsi a leggere le fascinose parole olandesi, perché comunque vengono pronunciate in maniera completamente diversa da come sono scritte. Nei dittonghi le vocali devono aver giocato al gioco delle sedie musicali per secoli, facendo in modo che OEI si legga UI e che UI sia riproducibile al meglio mentre si sbadiglia. Nella pronuncia vige poi una politica di austerity, nella quale solo le U vengono pronunciate, oltre ovviamente alle R, che comunque suonano come le U.
In pratica la lingua è una successione disordinata di U e cracker che si sbriciolano. Se è vera la teoria che vuole che l'italiano suoni come musica leggera, l'inglese punk e il tedesco metal, allora l'olandese racchiude tutto lo sperimentalismo del noise (la teoria è mia, un giorno ne parliamo).

In attesa di cominciare a capire qualcosa, ecco un greatest hits delle parole più divertenti.

Te huur/Te koop (Affittasi/Vendesi)
Un po’ per tutti le prime parole. Sono tipiche della lingua olandese con le loro doppie vocali, anche se suonano milanese. Sono onnipresenti su cartelli affissi ovunque lungo la strada, tanto è vero che uno si mette quasi a pensare che sia facile trovare una casa in affitto, il povero illuso!

Let op! Drempels (Attenzione! Dossi artificiali)
Gli olandesi alla sicurezza stradale ci tengono, a quanto pare. In realtà pare male, perché per quanto ostracizzate siano le macchine, le bici si muovono nel traffico come lame di ghigliottina.
Non è male comunque vivere in una città senza traffico. L’olandese la BMW la tiene in garage, con la roulotte attaccata, pronta per scappare verso il Garda appena può. ma in città si respira aria pulita, insieme agli oppiacei.

Fiets (Bicicletta)
Eccola la parola magica. Bicicletta. Di ogni tipo, catorci assemblati, tandem, biciclette da guidare sdraiati. Non è un articolo sportivo, ma un mezzo di trasporto. Ogni strada è anche ciclabile. La strada secondaria lungo l’Amstel che va verso Ouderkerk è stretta, ma non rinuncia alla ciclabile su ambo i lati. In pratica metà strada è ciclabile, mentre le macchine si sfidano in un lungo senso alternato, regolato dai drempels che costringono a rallentare.

Kijken (Guardare)
Pronunciato “kaiken”. È l’unica parola che si distingue fra le U e i cracker. Viene pronunciata spessissimo (solitamente even kijken, che vuol dire “ora vediamo”), sempre con grande chiarezza. Non si capisce il motivo di cotanta chiarezza, ma così è. Forse agli olandesi piace vederci chiaro.

Boer (Contadino)
Cresciuto con il mito del calcio olandese, uno si accorge che Frankie de Boer altro non significa che Franco il Contadino. Comunque i contadini qui sembrano sapere il fatto loro, fra polder e dighe sono più ingegneri civili che agricoltori. E secondo me tengono pure li sordi. Dovrebbero fare un gemellaggio con i colleghi della Val di Non.

Vet poes (Gattaccio obeso)
Arriva anche il lieto fine, uno trova casa, di solito con un coinquilino, perché gli affitti costano vagonate di euro. Solitamente c’è anche un gatto, spesso anche due, non perché fa bello, ma perché le case olandesi sono misteriosamente piene di topi. I gatti sono spesso arancioni, forse per patriottismo. Il mio coinquilino ne ha due, uno nero con la pancia e le punte delle dita bianche e uno identico ma marrone/arancio/violaceo là dove il fratello è nero. I gatti non hanno nome, ma rispondono al richiamo vet poes, che si pronuncia fett puss, ma per qualcuno suona come “croccantini”. Ah, i miracoli delle lingue!

martedì 15 luglio 2008

Crea anche tu il tuo film americano!

Sono sempre stato un buon odiatore.
Una cosa che odio più di qualsiasi altra sono i film americani. Sono pieni di moralismo, filosofia da duecento lire e pathos a vagonate. Ma soprattutto sono sempre uguali. Le battute sono sempre le stesse, le espressioni sulle facce degli attori sempre le stesse, le trame sempre le stesse.
Quando ero al liceo mi chiedevo come a Roma antica potessero andare a vedere le commedie di Plauto, quando sapevano benissimo che le storie erano tutte basate su di un copione vecchio e noto e quindi anche il finale era scontato. Poi mi sono reso conto che è ancora così. I film americani devono sempre finire bene. L’eroe trionfa sempre, insieme al conformismo e agli ideali americani.
I film americani sono talmente uguali che possono essere scritti automaticamente da un software.
Ultimamente ho avuto la fortuna di tadurne il manuale. Eccone un estratto.

1.1 Creazione guidata di un film americano

Seguire le seguenti istruzioni per creare un film americano in MSHollywood Movie Maker.
Dal menu principale, avviare il wizard per la creazione di film americani.
Nella prima schermata è possibile scegliere se creare un nuovo film o riciclare un film già esistente.

Suggerimento: l’opzione Ricicla film esistente consente di ridurre al minimo lo sforzo, utilizzando la trama di qualsiasi film degli anni Cinquanta. Grazie alle tecnologie moderne, il risultato non potrà che essere migliore rispetto al film precedente.

2.1 Schermata Personaggi

Se è stata scelta l’opzione Crea nuovo, viene visualizzata la schermata Personaggi.
Per prima cosa, è necessrio definire il ruolo del serial killer. L’elemento Serial killer deve essere presente in ogni film. Qualora Serial killer sia deselezionato, il film assumerà automaticamente l’etichetta Per bambini e questo ruolo verrà sostituito da Cane parlante. È tuttavia possibile generare film per bambini con serial killer. In questo caso il cane parlante aiuterà il protagonista a smascherare il serial killer.
Anche l’elemento Poliziotto è obbligatorio per qualsiasi genere. È possibile assegnare a Poliziotto l’attributo Buono o Cattivo e Protagonista o Antagonista. Per ottenere un buon film d’azione si consiglia di impostare Poliziotto come Ex poliziotto. Poliziotto è sostituito automaticamente da Sceriffo se si sceglie di girare un film western.
Gnocca è un altro elemento fondamentale, che si consiglia però di non impostare mai come Protagonista, ma come elemento seecondario.

2.2 Schermata Trama

La schermata Trama consente di impostare lo svolgimento del film.
Si consiglia agli utenti alle prime armi di iniziare con una trama di genere Azione. Questo genere è estremamente semplice e basta adottare l’apposita trama di default: Ex poliziotto lotta contro Cattivi per salvare Gnocca/Figlia/Mondo. Per raggiungere lo scopo verrà aiutato da Figlia/Gnocca, a seconda dell’opzione non scelta come personaggio da salvare. Se Ex poliziotto deve salvare Mondo, potrà essere aiutato indifferentemente da una delle due o da entrambe. In tali casi l’ex poliziotto viene inoltre sostituito da Ex sergente dell’esercito. La nazionalità di quest’ultimo deve ovviamente essere impostata su Americano.
Se è stato precedentemente scelto di impostare Serial killer come Protagonista, il film dovrà assumere complicati risvolti psicologici e analizzare la mente del killer, rendendo più sfumata la distinzione fra Buono e Cattivo. Per adottare una definizione non netta di Buono e Cattivo è necessario essere già affermati registi hollywoodiani e disporre della fama di intellettuale. Quentin Tarantino è riuscito nell’impresa anche senza essere già noto, ma per ottenere questo risultato è stato costretto a sacrificare la vita di migliaia di personaggi. È infatti utile alla riuscita del film fare in modo che un'alta quantità di personaggi venga uccisa. Questa opzione non si applica per film di etichetta College. In questo caso, il cattivo, solitamente Giocatore di football, viene sconfitto sportivamente.

2.3 Schermata Dialoghi

Dopo aver definito la Trama, l’ultimo passaggio prima della generazione del film è la definizione dei dialoghi.
È molto importante che il protagonista/eroe, nel finale del film, esclami "l'ho fatto perché è mio amico", oppure "l'ho fatto perché glielo avevo promesso”.
Per default, il serial killer e il poliziotto sono inoltre impostati in modo da riferirsi agli altri personaggi come “amico”. Ad esempio, quando il protagonista incontra il cattivo, gli si rivolgerà con la frase “hey amico, sei pronto per assaggiare un po’ di piombo?”

giovedì 10 luglio 2008

fit-scratching: guerrilla relax e la libertà di grattarsi i coglioni



con il mirabile intento di definire la mia posizione all’interno del mondo d’oggidì, mi trovai un giorno a sfogliare fra le patinate pagine biancopastello della femminile rivista recante il nome “yessika”, alla ricerca dell’ultimo gossippe, notizie sulla brinni o almeno un bel palco di tette.
essendo la rivista per l’appunto indirizzata a un target estrogeno, non avvezzo all’inturgidimento dei corpi cavernosi per via di impulsi visuali, le suddette tette si manifestavano unicamente in forma velata, costringendo per lo più l’io narrante a concentrarsi per lo meno sul contenuto dell'opera editoriale.
riporto in seguito senza ulteriore commento il contenuto dell’apotropaicamente titolata sezione “salute”.


guerrilla relax con il fit-scratching

fit scratching, nulla a che fare con ippoppe, diggei ed emsì vari, ma piuttosto con ambienti cillaut tipo il budella bar. non sono dischi in vinile ad essere scracciati, quanto piuttosto sfere in carne umana.
il fit scratching è una disciplina che unisce elementi delle culture orientali come meditazione, yoga, chakra, mantra, wrestling e balle varie al più genuino dei gesti quotidiani, la grattata di palle (o chi ne fa le veci) e si pone come scopo il raggiungimento del benessere e l'edittobulgarizzazione di qualsiasi forma di stresse.
questa disciplina si basa su di uno studio dei laboratuar della prestigiosa university of philadelphia light, che rileva il concentramento di tutte le forze ed energie del corpo umano nel chackra denominato swadhisthana, ai più geograficamente noto come paesi bassi (ma non olanda).
provare per credere, con la sola imposizione delle mani sull'area corrispondente alla prostata (per lui) o sul picco d'afrodite (per lei) si ottiene un incommensurabile grado di relasse.

e ancora una volta c'è un po’ d’italia im questa fantavigliosa scoperta. è stata infatti l'echippe guidata dal dottor ippogrifo cagnorello a scoprire i benefici del fit-scratching. ed è toccato proprio ai giornalisti di yessika farsi dodici ore di volo e 48 di gippone per raggiungere la capanna di pattaya dove cagnorello si è trasferito per nascondersi da chi si oppone alla sua scoperta.
troviamo il nostro luminare sdraiato in sedia sdraio, cocchetaile di cachaça, lime e pecorino sardo nella mano sinistra (mojiddu) e mano destra d’ordinanza sui coglioni. è un uomo solare, abbronzatura tamarra a mettere in risalto la barba bianca e appuntita, occhiali simili ad oblò sia in circonferenza che in spessore e bermuda gialli con pescioloni arancioni, che spuntano sotto una camicia a fiori col logo dei metallica. ma non è l’abito a fare il mona e nonostante le apparenze ci accorgiamo subito di essere di fronte ad un uomo che ha capito l’essenza della saggezza orientale.

sopraffatti dall’aura di un tale dottorone, decliniamo il mojiddu e ci tuffiamo nell’intervista.

cagnorello, come nasce il fit-scratching?

cioè, vojo dì, ce semo fatti sto viaggetto a bancocche, un po' pè andà a troje, un po' pè scoprì sto katze de novo trend da vende a' jornali. pé un mese io e totonno ce semo fatti la spola fra puttane e monasteri, dopodeché avemo lasciato perde i monasteri, ché come dicevano bodlèr e rimbò è più ganzo andà a puttane. l'occhio mio de lince ce s'è accorto subbito che i magnaccia se tenevano sempre le mani sur pacco. la grattata del pacco pare proprio essere il segreto del successo di questi motherfucking p.i.m.p. quer zozzone de totonno, che come sempre pensa solo a la fregna, se guarda intorno e s'accorge che le femmine, pur esse se grattano er pube.

da qui la conclusione…
da qui la conclusione, che non può che essere univoca: la pressione e lo strofinamento in corrispondenza dell'apparato genitale, da secoli alla base della cultura buddista, hanno la proprietà di alleviare il senso di affaticamento e produrre nel paziente uno stato di rilassamento. altro che seghe.

lei ha aperto un dibattito criticando presunti poteri forti che le avrebbero messo i pali fra le ruote.

artro che pali, mazze da besbo! purtrolpo, gli organismi conservatori di questa marcia società hanno deciso de negarci anche sta gioia qui, censurando chiunque osi manipolare i suoi chakra in pubblico.

il papa l’ha accusata di volgarità.

ennò, porcodduce, questo me fa ancora incazzà. vojo dì, la grattata è la grattata, cioè, è na robba seria. se ar papa no je piace, caxi sua, ma che nun me venga a dì ch'è immorale. cioè, vojo dì, mica je rode ar feto se ce stamo a grattà, cheddici? mica vanno i comunisti ar governo se ce forbiamo là dove nun batte er sole.

ma il sacro romano impero non è l'unico intralcio per lei e il suo prezioso entourage.

essì, pure er governo ce sta a smazzolà gl'attributi. pare che ar carderoli e a la subrette, come se chiama, la russa, la grattata je gusti, ma er capo dice che je aliena gl’elettori de na certa età e nun se pò fa. la verità è che ce l’hanno con me perché so un personaggio scomodo, tipo scalfarotto o guido del grande fratello. in passato so stato un blebblò, come se dice, un blecbloc, ho portato in itaglia saientologi, me so candidato coll’udeur e ho giocato ner foggia de zeman.

meno fit-scratching equivale a meno relax, meno creatività, meno gioia. dovremmo quindi organizzarci e manifestare per il nostro diritto a sdoganare questa disciplina. ma cagnorello cosa propone?

cosa propongo? lo so io cosa propongo. propongo de conquistà i midia. chessò, na biciclettata nudi, o er bodipenting, così semo sicuri che ce pubblicano su' siti de corriere e repubblica tutti. totonno dice che così forse se vede pure un po' de fregna, comunque lo scopo non è quello. cioè, vojo dì, lo scopo è sempre quello, mica so frocio, ma oltre alla prerogativa de base lo scopo è quello de ringalluzzì l'attenzione de' midia, magari invità quarche tronista de sinistra, tipo quello che trasporta bestiame cor camion, er pecoraro scania, che quello je basta che se protesti, o beppe grillo, che più che un grillo me pare na cavalletta quando se’ncazza.


il messaggio è quindi chiaro, il fit scratching è come l'auto elettrica: esiste, porta indubbi vantaggi, ma viene ostracizzato da questa sporca società.
uniamoci dunque compari dai campi e dell'officine e scendiamo giù in piazza per difendere i nostri diritti.
la campagna di lotta proletaria per il diritto a vivere liberamente il trend dell'estate è iniziata.
da blog, forum, radio indipendenti, internet tv sono nate manifestazioni, performance, flash mob e tante, tante altre iniziative per un estate con le tue celebrità alternative preferite!
unisciti anche tu all’allegra brigata, lotta anche tu per la libertà di grattarti dove ti pare e piace!

martedì 8 luglio 2008

l'aranciata esagerata



quando si parla di calcio, gli olandesi sono più fanatici degli italiani. questa è stata la mia prima impressione appena arrivato ad amsterdam, a fine maggio dumigliotto.
chiaramente una frase del genere non può essere piazzata là morbida e liscia come un assist del miglior pirlo, ma richiede la sua bella spiegazione.

sono arrivato alla vigilia dell’europeo e, per chi un mese fa si trovava su mercurio, oppure negli stati unti, la prima partita dell'olanda è stata proprio contro i nostri baldi govani dal completo cianotico.
un'oretta prima della partita sono uscito con la mia bella maglietta azzurra per andare ad una specie d'italica enoteca, dove il resto degli eredi di dante e ciceruacchio si sarebbe dovuto radunare.
appena varcata la porta di casa incrocio subito il vicino casinista, che alla vista di cotanto color cielo strabuzza gli occhi domandando incredulo: “italië?” io gli rispondo in interlingua “eh ja, eh, if no italië, no blue shirt”. lui lo trova divertente, io esco, salgo in bici e ci metto circa cinquanta metri a capire il perché.

in pratica tutti sono vestiti di arancione, tutte le vie della città sono imbandite che neanche al carnevale di ivrea, leoni e bandiere si alzano ovunque, il patriottismo dei paesi piccoli e innocenti, che possono ancora permettersi di issare la bandiera in giardino, è commovente.
anche i take-away etnici partecipano alla festa, esponendo la bandiera olandese accompagnata a quella di marocco, india, israele, turchia o suriname, a seconda per l'appunto dell'etnia del caso. e io resto la macchia azzurra, che sfila in bici sotto mille sguardi divertiti, cercando di non commettere infrazioni delle norme stradali per non confermare i loro stereotipi su di noi.

nell'occasione poi, i nostri eroi si rivelano più buzzurri che azzurri, visto che se ne fanno rifilare tre, dando personalmente il via alle danze qui in città.
a leidseplein la gente canta che we are the champions, dopo il quattrauno contro i francesi, dove anche il sottoscritto ha modo di partecipare con trasporto alla goduria generale, impazzano in tv le immagini dei salvatori della patria che sfilano su di un autobus tutto arancione, esibizione pericolosamente simile a quella degli italici ventitrè dopo il mondiale di due anni fa.
è chiaro che il tutto porta di molto sfiga, ma gli olandesi se ne fregano, festeggiano convinti che vinceranno qualsiasi cosa, che a distanza di vent’anni van basten li farà vincere di nuovo.

nei negozi ed in tivvù è gaggettomania. i supermercati albert heijn, dalla micologica caratteristica di crescere ovunque, regalano i ricercatissimi welpies, pupazzetti a forma di leone con lunghi capelli arancioni. da blokker, negozio di chincaglieria trash, si superano, proponendo le famigerate magliette con il muso d'un leone sul lato anteriore, che può essere alzato in caso di gol, mostrando la bocca della trista fiera aperta in un ruggito.
calcio, calcio, calcio, su tutti i giornali, ovunque in tv, per strada, in ufficio, nei tram, dove anche gli autisti sfoggiano la spaventosa divisa arancione della nike e partecipano alla festa scampanellando.

poi arrivano i quarti di finale, la russia è una formalità e come tutte le formalità apre le fauci tipo maglietta del blokker e se magna er lione d'un sol boccone.
gli olandesi bestemmiano il giusto, poi ripiegano il bandierone e vanno a casa ordinati. il giorno dopo l'aspetto delle strade cambia. basta arancione, è fuori moda, i giornali non parlano di calcio e l'intera competizione cade nel dimenticatoio. solo la finale è degna di un riquadro titolato viva españa, olé o qualche facile combinazione del genere.
non è codardia, è solo che in realtà agli olandesi del calcio gliene frega quanto a berlusconi dei conti pubblici dello stato. gli piace parlarne quando ne parlano tutti, ma in verità, in verità vi dico che non gliene frega una mazza.

per chi sta bene, per chi tiene li sordi come gli olandesi, il calcio è una moda, un'occasione per fare carnevale, un divertente diversivo per famiglie, perfino un gioco, orrore degli orrori!
per altri, invece, il calcio resta la ragione di vita che tutti noi conosciamo. in semifinale ci pensano i tanti turchi di amsterdam a ricordare a chi tiene la tivvù spenta che qualcuno là fuori sta ancora giocando. ogni gol segnato nel segno della mezzaluna viene scandito in una stereofonia di urla e trombettine in tutto il circondario e il giorno dopo la vittoria contro la croazia le cassiere dell'albert heijn del quartiere sono vestite con maglia rossa e velo. intanto per strada si moltiplicano i welpies spappolati, scalpi di capelli arancio su pappette di plastica. e qualcuno comincia a lamentarsi del casino che fanno i turchi mentre festeggiano. un po' di contegno, cribbio, mica siamo a gençlerbirliği! in fondo è solo un gioco!